Sviluppo fotografico, .Jpeg contro .RAW (Panoramiche 4b)
Riassunto della puntata precedente
Impegnato come sono nello sviluppo di tre model shooting e di un matrimonio ho iniziato, la settimana scorsa, a parlare di post produzione delle foto e di certa mitologia che circonda questa fondamentale parte del processo fotografico. Ciò perché, provenendo dal vasto mondo della fotografia amatoriale, sia di persona che sul web ho sentito pronunciare – con teologica convinzione – opinioni alquanto immotivate e irrazionali in merito e mi diverte esporne la fallacia.
Abbiamo visto come, infatti, si post produceva anche ai tempi della Fotografia analogica, in Camera Oscura e come qualcuno che troppo spesso viene indicato come “esempio di Fotografia (vera) senza artifici” è quell’Ansel Adams, che in realtà fu anche un maestro della post produzione in Camera Oscura, autore di libri di tecnica di sviluppo e del Sistema Zonale, a cui sono debitori anche i moderni programmi di post digitale.
Correlato a questo tema, viene anche l’altra divertente (antropologicamente parlando) diatriba, fonte di guerre d’opinione termonucleari nel fandom fotografico mondiale, vale a dire l’uso di registrare le immagini in formato .Jpeg o .RAW, da fare sempre, comunque, qualsiasi sia il genere praticato e la committenza.
I formati di registrazione e condivisione delle immagini, cosa sono e a cosa servono.
Qualche accenno, intanto, per definire di cosa stiamo parlando, va dato. JPEG è un acronimo che indica un formato di registrazione dell’immagine catturata dal sensore della stessa e poi archiviata nella scheda di memoria. Viene definito come “lossy”, cioè trattasi di un tipo di un formato di immagine compresso che perde una certa quantità di informazioni raccolte del sensore, poiché il suo maggior fine è essere di dimensioni ridotte e facile da trasmettere da device a device. Lossy, però, indica anche il fatto che ogni volta che si apre questo tipo di file su un programma di editing fotografico, si perdono altri dati e quindi qualità d’immagine.
Per veloci aggiustamenti di esposizione, contratto e bilanciamento del bianco – cose che si fanno in pochi minuti e in un sol colpo – la perdita non è granché percepibile, ma dopotutto il tutto dipende da quale è piattaforma di destinazione dell’immagine. Se resta a schermo, magari in quello di uno smartphone, la perdita di qualità non si nota tanto. Peccato che le immagini che restano nelle memorie di computer e smartphone non sono neanche considerabili vere e proprie Fotografia.
Una Fotografia è un oggetto fisico, stampato, tangibile. Le fotografie vanno stampate.
Quando si va a stampare un ipotetico jpeg che è stato modificato in più riprese, mostra tutti i suoi limiti. Per averne riscontro basta anche solo usare i filtri di Istagram su uno scatto registrato in jpeg, aggiungere “Struttura”, “Contrasto”, aggiustamento di Alte Luci e Ombre e il tocco di “Nitidezza” finale, e notare la differenza che c’è guardando il risultato ottenuto dallo schermo dello smartphone, contro l’effetto che fa a vedere lo stesso scatto dal monitor del computer, un 24, 27 o 32 pollici che sia.
Inoltre, anche l’immagine che mostra la macchina fotografica sullo schermo dietro la macchina, è un jpeg.
Senza scendere in dettagli che diventerebbero troppo tecnici, poi, non tutti i Jpeg sono uguali: ogni brand fotografico ha il suo e anche quando si sceglie di impostare la macchina per fornire jpeg “neutri” o “naturali”, esiste sempre una data quantità di nitidezza, contrasto, saturazione dei colori che è stata decisa dal gruppo di ingegneri nipponici per il loro stile di jpeg. Di questo argomento, però, tratterò più estesamente nell’ultima parte di questo articolo, la settimana prossima.
RAW, dall’inglese, è un tipo di formato immagine “crudo”, vale a dire che mantiene tutte le informazioni raccolte dal sensore al momento dello scatto, ed è lossless, vale a dire non perde dati, anche quando si apre e si modifica l’immagine ripetute volte (almeno, fino a quando non si comincia a modificarne i colori). Aprendo un file RAW su un programma di sviluppo immagine non appare quasi mai molto attraente, e questo per tutte le informazioni in più che sono registrate nel file. Questo vuol dire solo che questo tipo di file è fatto per permettere la piena libertà di scegliere quale stile l’immagine avrà a fine sviluppo, permette inoltre di salvare l’immagine nel formato TIF, che è, o era sino all’altro ieri, il formato preferito dagli stampatori, cosa che non approfondisco per non mettere troppa carne sul fuoco.
Il RAW viene chiamato anche “negativo digitale”, questo proprio per la sua proprietà di permettere uno sviluppo fine, preciso, esteso o settoriale per arrivare – a fine sviluppo – all’immagine che aveva in mente il fotografo al momento dello scatto.
Scattare sempre in .RAW o sempre .Jpeg, perché gli assolutismi entrambi errati
Alla fin fine su questo argomento vale il vecchio motto latino Virtus in medio stat: non c’è alcun motivo di mettere sul piedistallo, o demonizzare, uno strumento rispetto a un altro, essi hanno entrambi una loro specifica funzione adatta a vari contesti.
Dire che si preferisce scattare in jpeg, può magari sottendere alla paura di affrontare la fase di editing, stare tante ore davanti al computer invece che sul set, o sul campo, a scattare. Tanto legittima è questa paura che ci sono fotografi professionisti che esternalizzano la fase di editing degli scatti ad altri, oppure – mirando anche al massimo della qualità immagine – il professionista sta ore sul set a creare la luce, il colore, la composizione perfetti, con gli “effetti speciali” inclusi in fase di scatto, di modo da non dover impiegare che pochi minuti in fase di editing.
Inoltre, alcune assegnazioni professionali – pagate – richiedono per forza di cose lo scatto in jpeg. Pensiamo alla Fotografia sportiva: quando la rivista o l’agenzia stampa pretende di avere gli scatti della partita la sera stessa dell’evento. O ancora, quando si fotografano sfilate di moda per agenzie e queste hanno l’esigenza di mostrare gli scatti della sfilata quasi in tempo reale sul proprio sito web, allora ecco che la “comanda” è quella di scattare almeno in Raw+Jpeg e praticamente consegnare la scheda di memoria alla sala stampa una volta di ritorno dalla sfilata.
La pigrizia, però, non è accettabile, in Fotografia come in ogni altro ramo dell’umana creatività. L’utente finale vuole percepire (anche a livello subliminale) che il prodotto creativo è frutto di sudore e sangue. Uscire fuori dalla propria comfort zone, approcciare nuovi stili, tecniche, generi fotografici è il cuore pulsante della pratica fotografica.
Il RAW è un formato che va saputo sviluppare e portare allo stadio di stampabilità, o comunque di condivisione, è ciò che si pretende si sappia fare in moltissime altre specifiche branche della Fotografia professionale, e soprattutto per un neofita che ambisce a diventare un professionista, imparare a sviluppare egregiamente (non basta più saperlo fare solo “bene”, purtroppo - tanta è la concorrenza) i propri scatti è quanto più di indicato ci sia. Magari anche imparare, con dei corsi, a fare anche post produzione in Camera Oscura.
Cari miei, con questi chiari di luna la raccomandazione è una: distinguetevi!
Dopotutto, se davvero avete passione per questa arte della Fotografia, perché temere la post produzione? Dovreste imparare ad amarla, a divertirvici addirittura. A me, personalmente, può risultare addirittura rilassante.
Soprattutto quando affronto l’editing dei ritratti che faccio, e vedo che lo scatto ha potenzialità da entrare nel mio costituendo portfolio, ho addirittura il desiderio di usare quella tecnica di sviluppo, o un’altra, o anche di cercarmene una nuova, per dargli quel look che l’aiuti a bucare lo schermo.
E questo è quanto possa dire su questo argomento, sino a ora. L’appuntamento è con la chiusura di questo lunghissimo articolo per la prossima settimana.
Spero ti sia divertito e abbia trovato ispirante questo mio piccolo divertissement e
A presto!
Ad Majora!