Comincio qui una mia dissertazione personale in tre parti sul rapporto fra Fotografia analogica e Fotografia digitale. Le tre parti saranno: 1, che male vi ha fatto Photoshop?; 2, Jpeg vs RAW; 3, Il sofismo della “Color Science”.
Premessa
Con le recenti sessioni di scatto effettuate mi trovo attualmente alle prese con lo sviluppo di un bel numero di scatti. Inoltre, non è da molto che ho ultimato il secondo modulo del corso di Fotografia Analogica e ho passato alcune ore in camera oscura, alle prese con vari chimici, fissatori e compagnia cantante. Occasione perfetta per affrontare il discorso sviluppo foto in digitale e in camera oscura (o chimico).
Trovo l’argomento “sviluppo fotografico” divertente da trattare, perché avendo solcato i vasti mari della Fotografia amatoriale, ne ho visto in azione diverse delle sue tempeste di dogmatiche opinioni su vari aspetti di questa Arte. Naturalmente sullo sviluppo digitale e il suo programma più famoso, vale a dire Adobe Photoshop, s’è detto di tutto e il suo contrario.
1 - Che male ti ha mai fatto Photoshop?
Sia chiaro che esistono anche altri programmi di ritocco fotografico a computer. Ho utilizzato il nome di un prodotto ben specifico per indicare l’intero panorama non solo dei programmi per lo sviluppo fotografico digitale, ma anche l’attività stessa di usarli, così come è entrato nell’uso comune fra chi discute di questa attività. Fra l’altro Adobe Photoshop è più una piattaforma di elaborazione grafica, che un programma di solo sviluppo fotografico. La Grafica infatti è un campo molto più vasto e complesso - nella sua elaborazione a computer - rispetto allo sviluppo fotografico. Per intenderci: una volta, tanto tempo fa, fui assunto da un’azienda che produceva siti internet per aziende perché avevo messo fra le mie skill tecniche “uso Photoshop fotografico” e mi avevano messo a svolgere mansioni che richiedevano anche competenze grafiche. Furono i giorni peggiori della mia recente vita. Anche solo imparare a fare un logo letterale mi costò una nottata insonne, perso dietro a tutorial on line.
Premesso quanto sopra, c’è chi riduce tutto quel che si fa e si può fare a computer con le immagini, a quegli esempi di cattivo uso di High Dinamic Range (HDR), Contrasti sparati, Cieli assurdi con forti aloni intorno alle superfici confinanti col cielo nei paesaggi, occhi da alieno nei ritratti di modelle, lune gigantesche poste troppo vicino a montagne, e tutto il nutrito compendio di orrori che la “Fotografia Democratica” (vale a dire quella che la tecnologia ha reso accessibili a una massa di persone) ci ha sbattuto contro il muso. Davanti a tutto questo mal uso dei mezzi tecnici che il digitale mette a disposizione, certo, si tende a mitizzare l’era in cui si scattava a pellicola, anche perché allora la Fotografia era un’arte senza ombra di dubbio più elitaria. L’immagine fotografata circolava di meno e sapeva sicuramente meravigliare più facilmente di quanto non accada oggi.
Succede, però, che questo mito dei tempi passati faccia più di un passo oltre il confine del documentato e lecito e cominci a spararle grosse. Così grosse da travisare del tutto la realtà dei fatti.
C’è chi, infatti, da un manto di “sincerità”, “immediatezza” o “naturalezza” che, francamente parlando, la Fotografia non ha mai avuto. Forse, durante l’ubriacatura positivista del primo dopoguerra, l’occhio della macchina fotografica poteva anche essere scambiato per quello della “verità”. Gli anni ‘60, però, li abbiamo superati da un pezzo, suggerisco di crescere e ammodernarsi anche a chi crede a queste svenevolezze.
Nel caso vi stiate irritando col qui scrivente, abbiate la pazienza di attendere che vi mostri un paio di fattarelli, semplici, semplici, come a volte le cose legate alla Luce possono essere. Cominciamo a guardare questo articolo di una nota testata giornalistica, tanto per cominciare ad approcciare il fatto che il ritocco fotografico si è sempre fatto, è sempre stato tecnicamente possibile - sia in fase di sviluppo che anche dopo, sulla foto stessa. Pensiamo, inoltre, alle vecchie foto dei soldati di trincea della Prima Guerra Mondiale, quando si aggiungeva a china qualche tratto per contrastare di più occhi e altri lineamenti del volto, per poi andare alle falsificazioni dettate dagli uffici di propaganda politica, sino alla scoperta “scandalosa”, che certo fotogiornalismo (quella branca dell’Arte che più si è calata nel vanto del ritrarre il “vero”), anche di denuncia, penso per esempio al caso di Eugene W. Smith, il quale faceva posare i suoi soggetti per fotografie che non erano affatto istantanee provenienti dal tessuto sussultante di dolore di qualche, più o meno esotica, realtà.
Non dovessi avervi ancora convinto, non mi resta che citare lui: Ansel Adams, secondo qualche stordito un esempio di "Fotografia senza ritocchi” e perciò stesso “veritiera”. Costui che è il padre del fotoritocco, del Sistema a Zone e autore di diversi libri di tecnica fotografica, scrive a inizio del suo secondo volume – The Negative – le seguenti parole:
Per una stampa fotografica è impossibile replicare la gamma di luminosità della gran parte dei soggetti, e per questo le fotografie sono, in qualche misura, un’interpretazione del soggetto originario.
Gran parte della creatività nella fotografia sta nella gran varietà di scelte che un fotografo ha fra una rappresentazione quasi letterale del soggetto e una libera interpretazione che si allontana dalla realtà dello stesso. Il mio lavoro, per esempio, viene spesso definito “realistico”, quando in realtà la relazione fra i valori di luminanza nelle mie foto sono alquanto lontani dalla rappresentazione letterale dei soggetti.
Io uso numerosi strumenti fotografici per creare un’immagine che rappresenti ‘l’equivalente di ciò che ho visto e provato’, per parafrasare una frase che ho sentito molte volte pronunciare dal fotografo Alfred Stieglitz – il grande fotografo di inizio Novecento.
E ancora
Nella fotografia in Bianco e Nero registriamo un soggetto tridimensionale in (un’immagine) bidimensionale e in scala di grigi. Abbiamo una considerevole libertà per alterare i valori (di luminanza) attraverso il controllo dell’esposizione e lo sviluppo, l’utilizzo di filtri, e altro.
(The Negative – Ansel Adams, 1949. Traduzione mia dall’inglese)
Contrariamente da quanto creduto da certuni, quindi, postprodurre le foto è un’attività di lunga, nobile e professionale storia. Fondamentale è però imparare a farlo correttamente, di modo che allo sguardo di chi vede per la prima volta la fotografia il messaggio insito nella foto vada a stupirlo, senza venire prima frenato dalla constatazione che: “ah, questa è passata da Photoshop”, così come succede quotidianamente ovunque sul globo terracqueo ogni volta che si vede uno scatto pubblicitario rimanendone piacevolmente colpiti.
C’è, piuttosto da chiedersi: non è che tutta la teologica prurigine contro la post produzione non viene piuttosto da pigrizia, dalla mancanza di voglia di spendere tempo a elaborare scatti al computer?
Chiedo così, tanto per.
Questo è quanto ho per ora da dire in merito e ti rimando, lettore, alla prossima puntata di questa discussione che spero anche tu abbia trovato interessante e, chissà, magari divertente.
Ad Majora!