Sugli obiettivi fotografici 0 (Panoramiche #12)

Premessa

Comincio, in questa dodicesima edizione delle mie panoramiche, a parlare di un importante elemento del corredo fotografico di qualsiasi fotografo: gli obiettivi.

Jupiter 9 BW: ph: Francesco Coppola

Jupiter 9 BW: ph: Francesco Coppola

Molti possono arrivare a immaginare quanto essi siano importanti. In combinazione col corpo macchina, questi attrezzi sono responsabili di buona parte della qualità d’immagine che verrà registrata nei file prodotti dalla macchina fotografica. Di obiettivi fotografici, oltretutto, se ne producono dal XIX secolo, periodo in cui iniziava l’epica ascesa della Fotografia con i dagherrotipi all’inizio, le esposizioni molto lunghe, le pose infinite e la contesa con la Pittura.

Alla Storia della produzione di obiettivi fotografici mi dedicherò in un successivo post, ora, a discorso appena aperto è bene che cominci più in generale a introdurre l’argomento e a chiarire qualcosa.

Cominciando da questo: quali sono le caratteristiche che rendono migliore un obiettivo rispetto a un altro?

I componenti della Resa d’Immagine di un obiettivo fotografico

A bunch of my lenses BW; ph: Francesco Coppola

A bunch of my lenses BW; ph: Francesco Coppola

Ciò che definisce classicamente le qualità degli obiettivi, di qualsiasi uso, lunghezza focale, zoom oppure ottica fissa, sono: la Nitidezza[1], composta a sua volta da elementi misurabili come Risolvenza, l’Acutanza e il Contrasto; la Resa dei Colori[2]; La Resa dello Sfocato[3]; il Microcontrasto[4] e la Tridimensionalità dei soggetti fotografati[5].

In era più recente sono arrivate altre qualità da tenere in conto e che una volta non esistevano: l’autofocus, per cominciare. La stabilizzazione degli obiettivi è un’altra novità, ma ancora più di recente sono venuti a disposizione dei fotografi anche i sensori stabilizzati. Inoltre, può essere un attributo fondamentale la resistenza a pioggia e polveri[6].

Poi ci sono i difetti degli obiettivi, più o meno presenti e risolvibili nei programmi di post produzione, ma anche eventualmente sfruttabili nella Fotografia creativa, quali: la Distorsione degli obiettivi[7], l’ammontare della vignettatura, Aberrazioni Cromatiche[8], Diffrazione[9] e Aloni su parti o intera immagine (Ghosting).

Vecchia filosofia progettuale degli obiettivi contro la nuova e computerizzata

Old Optics by Alasdair Elmes on unsplash.com

Old Optics by Alasdair Elmes on unsplash.com

Se si parlasse con il solito entusiasta, fan di brand di maggior grido, oggi cosa rende un obiettivo migliore di un altro, sicuramente affermerebbe che la Nitidezza è la più importante, da avere non solo al centro ma anche ai bordi, e sin da tutta apertura – possibilmente. Questo unito all’assenza, possibile o comunque auspicabile, di ogni difetto di distorsioni, diffrazioni o altro.

Persone più avvedute e più professionali, magari, risponderebbero che il giudizio su ogni obiettivo dipende dall’utilizzo che se ne deve fare. Una cosa, infatti, è misurare le qualità di un’ottica se si deve riprodurre in immagine una realtà[10], altra cosa se si deve rendere in immagine un’idea, uno stato d’animo o un sogno[11].

Da questo punto di vista, quindi, bene: se devo scegliere un obiettivo utile a riprendere i giocatori di una squadra di basket che gioca una partita in un palazzetto dello sport in notturna, mi orienterò possibilmente per un buono zoom, un 70-200mm, di cui è mio interesse che sia risolvente (o “affilato”) e abbia un autofocus efficiente (perché la paga del servizio dipende dal numero di scatti in focus che porto a casa e consegno) e che sia sufficientemente luminoso – che abbia quindi un diaframma massimo abbastanza aperto (o “veloce”), almeno f 2.8 se scatto con una macchina a Pieno Formato.

In compiti come quello, probabilmente, sì, mi affiderei alle sirene della “Moderna Ingegneria degli Obiettivi”. Pazienza se il risultato finale sarà mediamente “piatto”.

Se il mio compito è invece quello di ritrarre una o più modelle, che vestono un dato capo d’abito di un marchio, il cui direttore artistico mi richiede di esprimere in immagini la “voce” (il Look and Feel) del brand, beh, a parte l’ovvia difformità di richieste che possono arrivare da clienti diversi e di diverso settore merceologico, ma è probabile che se la richiesta è “naturalezza”, “sogno”, “romanticismo” (tanto per fare un’ipotesi all’impronta) scattare in Luce Naturale con qualche vecchia lente vintage, con focus manuale, che però mi permette di esibire uno sfocato di altri tempi, e un soggetto che sembra uscire fuori dallo schermo e ancora di più dall’immagine stampata, beh, diviene altamente preferibile.

Certo è, che oggigiorno non si producono obiettivi fotografici come si faceva una volta e questo comporta vantaggi e svantaggi per ambo le scelte.

A causa dell’introduzione dei computer nella progettazione delle ottiche e del desiderio di accontentare un pubblico generalista che tende a vedere i difetti in modo unidimensionale, si è andati verso una progressiva eliminazione dei vari difetti dell’immagine, questo con l’aggiunta di vetri speciali, di un design più complesso comportante maggiori complessità degli schemi ottici, maggiori dimensioni e peso degli obiettivi. Per non parlare dei costi di produzione e del prezzo finale. Non solo, però, questo sforzo progettuale ha aumentato la Nitidezza in tutto il frame ed attenuato – se non del tutto eliminato – problemi di distorsioni, vignettatura e color-fringing, il punto è che così gli obiettivi perdono in tridimensionalità, resa dei colori e personalità.

Se apparentemente l’attuale filosofia costruttiva degli obiettivi predilige la complessità, ai tempi della Fotografia Analogica, la direzione costruttiva per gli obiettivi preferiva la semplicità. Si riteneva, non senza ragioni, che più lenti si aggiungono a uno schema ottico, più problemi da risolvere questo comporta e ciò perché sempre, anche oggi, la costruzione di obiettivi è sempre un compromesso fra pregi e problemi che le varie possibili soluzioni tecniche offrono.

Sleeping Feline Beauty; ph: Francesco Coppola

Sleeping Feline Beauty; ph: Francesco Coppola

Fra le vecchie lenti, infatti, ve ne sono alcune che con tutti i loro difetti possibili, possono dare un caratteristico look, e ricordare un’intera epoca di produzione fotografica, o avere effetti per riprodurre i quali, sulle nuove, pesantissime, costose, lenti moderne alcuni fotografi professionisti sono obbligati a mettere davanti vari filtri, più o meno autoprodotti o acquistati, per andare alla ricerca di quelle caratteristiche che un obiettivo vintage da, magari, 40 euro[12] darebbe loro naturalmente e senza alcun intervento di filtro in fase di scatto, o in post produzione.

Attenzione quindi, a scartare a priori i vecchi obiettivi vintage. Attenzione a farvi sedurre dalle avveniristiche proprietà degli obiettivi più recenti. Potreste scoprire che avreste fatto meglio a spendere meno di 100 euro in una vecchia ottica degli anni ’60 o ‘70, mantenere viva la vostra capacità di focheggiare in manuale, ottenendo così risultati migliori e più in fretta che sborsando 1500 euro su quel 50mm f.1,4 di quel brand là, o di quell’altro.

Se alla fine della vostra elaborazione delle foto a pc, voglio dire, finite per aggiungere un poco di vignettatura, l’assenza totale di questa dubbio “difetto” nel vostro modernissimo 35mm f 1,4 a tutta apertura – perché riconoscete, almeno a livello subliminale che la vignettatura aiuta a rendere il soggetto più tridimensionale – non converrà forse prendere un adattatore e un vecchio Voigtlander prodotto negli anni 50?

Naturalmente, per il qui scrivente, fate bene a utilizzare quello che volete come obiettivi, anche roba con una ‘Art’ scritta sull’obiettivo, o i più recenti gioiellini di casa Canon, Nikon, Sony, Fuji, eccetera.

Io, da ritrattista che spera di entrare nel mondo della Fotografia di Moda, mi tengo stretto i miei Konica, Jupiter, Tessar, Minolta o Super Takumar.

Tessar Jena in action; ph Francesco Coppola

Tessar Jena in action; ph Francesco Coppola

E questo è quanto per questa prima e introduttiva trattazione sugli obiettivi fotografici, vi rimando alla prossima settimana per un primo approfondimento sull’argomento.

A presto e

Ad Majora!












































































































































[1] Si tratta di un fattore che non comprende solo elementi misurabili, ma anche apparenti e psicologici. Fra quelli misurabili la Risolvenza è la presenza, riscontrabile a occhio nudo, di dettagli molto fini e vicini tra loro; l’Acutanza è l’indice della rapidità con cui avviene la variazione di densità tra un elemento e l'altro dell'immagine, mentre il Contrasto, indica il grado di differenza di questa densità nelle zone di acutanza simile.

[2] In inglese (lingua dominante in questo mondo) detta “Color Rendition”. Quindi non sono solo i sensori dei corpi macchina a dare una certa resa dei colori, ma anche gli obiettivi con cui si scatta.

[3] Spesso indicato con la parola giapponese “Bokeh” ed erroneamente intesa unicamente come i punti di luce resi più o meno come grosse sfere o più allungate come occhi di gatto, quando appunto sta per l’intera area non a fuoco del frame.

[4] Al contrario del Contrasto, che riguarda la differenza fra zone in luce e zone in ombra nell’intera immagine, questo attributo riguarda il contrasto percepibile nei dettagli fini.

[5] Detto in inglese anche “3d Pop”, ed è stato il santo Graal della Fotografia sia dai suoi esordi, per l’ovvio motivo che si fotografano certamente soggetti tridimensionali che però vengono impressi su un supporto bidimensionale (il lato sensibile di una pellicola, o l’insieme di elettrodi che coprono un sensore). Ora andato quasi perduto con la moderna ingegneria computerizzata delle ottiche, viene reso da un mix fra aree a fuoco e zone sfocate, il contrasto vi entra oltre alla direzionalità della Luce.

[6] Viene detta, sulle lenti, WR o Weather Resistance e, appunto, non riguarda solo la resistenza a spruzzi d’acqua o a pioggia anche intensa, ma anche la resistenza alle polveri. Ovviamente WR non equivale a “subacqueo”. Immergere in acqua un corpo macchina – per quanto Weather Resistant – e la sua lente WR non è mai una buona idea.

[7] Le distorsioni prospettiche più conosciute sono quelle “a barilotto”, tipica degli obiettivi grandangolari, e quella “a cuscino”, tipica dei teleobiettivi.

[8] Come quegli aloni colorati di verde e di viola ai bordi di aree ad alto contrasto e vengono chiamate, nello specifico Color Fringing.

[9] Questo elemento è una caratteristica presente in ogni obiettivo e si manifesta come una morbidezza dell’immagine (perdita di contrasto, micro contrasto e nitidezza in generale) che sopravviene ai diaframmi più chiusi. Un elemento, fra l’altro, più riscontrabile negli obiettivi montati su macchine dal sensore più piccolo del Pieno Formato.

[10] Come per esempio: una partita di sport, un edificio nel suo esterno o interno, il Paesaggio e varia vita che lo abita, i prodotti commerciali da riprodurre il più possibile fedelmente.

[11] un’astrazione dalla realtà da riprodurre in grande formato per un’esposizione di Fine Art, ogni elemento del paesaggio urbano o naturale che si vuole rendere con una nota personale, artistica; il ritratto ovviamente, e il nudo, che non sono ovviamente la mera trasposizione delle qualità estetiche del soggetto, ma il soggetto e quello che indossa o meno, sono i veicoli del messaggio emotivo da trasmettere in immagine.

[12] A cui aggiungere meno di venti di adattatore e quasi altrettanto di eventuali spese di spedizione.

Prepararsi al salto (Panoramiche #11)

Premessa
Un’uscita speciale per questa panoramica, non solo per il giorno diverso e coincidente con uno shooting, ma soprattutto per il contenuto che segue. Certo, è un mio shooting, ma è anche uno speciale e che mi lega al me futuro, oltre che a ogni altro fotografo, apprendista o professionista.

Di Flussi e Salti

Preparing for the job, ph: Francesco Coppola

Preparing for the job, ph: Francesco Coppola

Il percorso di un Fotografo che prende seriamente la sua passione e mira a farne una professione è come un flusso. Quando tutto va bene, almeno, le giornate passano fra contatti con modelle, moodboard da creare, visite a mercatini e negozi di abiti usati da visitare, guardare le nuove uscite fra campagne e editorial su Models.com, sessioni di scatto, sviluppo degli scatti a pc, corsi ed eventuali workshop di vario tipo inerente sempre alla Fotografia. Lo fa il praticante, lo fa il professionista (anche se quest’ultimo ha in più altre incombenze, come magari corsi e lezioni da preparare, viaggi da organizzare, visite dal commercialista, ecc.)

Prima o poi, però, arriva auspicabilmente un momento in cui questa fila di eventi perviene a un momento di salto qualitativo. Può essere questo costituito dal presentarsi a una nuova agenzia, o cominciare una nuova collaborazione con un committente importante. Può essere, e questo è lo stadio certo iniziale – quello in cui mi trovo personalmente – in cui ti trovi a collaborare a un certo punto dello spazio-tempo (il quale è anche interno al Fotografo) in cui non si propone più “una sessione di ritratto per sperimentare”, bensì per creare delle immagini abbastanza precise in cui riversare l’esperienza dei vari mesi passati a scattare sperimentando.

Questo, infatti, è quanto mi prefiggo di fare fra poche ore, quando fotograferò le due sorelle Melissa e Valeria nel piacentino.

Non è mai un evento come un altro, andare a fotografare una modella, ma in queste occasioni ci si può sentire come su un trampolino per tuffi. Si può anche sbagliare, in parte se non del tutto, non essere abbastanza focalizzato, attento e pronto a dare il meglio di se stessi. Si può fare una gran panciata, insomma, con tanto rumore, un grosso schizzo d’acqua e un bruciante dolore. Nulla dice, però, che le cose debbano andare così.

Se ci si focalizza su tutto quello che può andare male, si è già perso. Bisogna invece concentrarsi su quel che si vuole fare, su quel che si vuole ottenere, sulla gioia dell’evento. Ci si deve chiedere: Cosa desidero? Immaginarlo, e lanciarsi.

Il tutto per arricchire sostanzialmente un Portfolio che deve convincere chi lo guarda che sono in grado di produrre immagini emozionanti, d’impatto e uniche.

Il tutto per avvicinarsi a una possibilità di carriera.


Il tutto, Ad Majora!





































Un model shooting in studio (Panoramiche #10)

Premessa

In piena funzione, come è, la mia attività di ritrattista con vari incontri, avventure, contrattempi, la mia mente attualmente è un turbine trottolante. Avevo inizialmente grandi progetti in mente, ma di lunga e complicata esecuzione.

Al fine di portarvi in tempi più brevi possibile una nuova panoramica, ho dato un taglio a quanto prima ipotizzato. Quello che, quindi, posso proporvi è la narrazione a stralci dell’ultimo shooting che ho fatto – domenica scorsa – in uno studio fotografico sito in un paese qua vicino, con gli strobi[1], fondali, modelle professioniste e dei fotografi con cui ho scattato.

Questo, nelle mie speranze, dovrebbe offrire una sintetica suggestione sul mondo della Fotografia di Ritratto, in cui mi trovo a far pratica.

I contatti con la modella

Joanna Kosinska on unsplash.com

Joanna Kosinska on unsplash.com

Avevo contattato Sofia (@spicyroller_sg) già durante lo scorso maggembre[2]. L’idea che le avevo proposto – dopo aver visionato il suo profilo Instagram – era di scattare al Parco di Monza, in Luce Naturale, ritratto stretto e figura intera in contesto floreale. Eravamo rimasti per aggiornarci verso metà di giugno.

Benissimo, inizio a scattare con altre ragazze, sino al giorno convenuto del contatto. Contrariamente ad altre persone con cui avrei dovuto scattare, Sofia ha risposto prontamente, mi ha proposto però un cambio di programma: non più scatti in ambiente naturale, ma in uno studio non lontano da casa mia, con un’altra modella e in un model sharing, a un costo un po’ più basso di quello convenuto inizialmente.

“Ma potrò gestire le luci e il set?” le chiedo “Altrimenti, se l’occasione è un model sharing, non lo so quanto mi possa servire al fine del mio Portfolio, e non ho soldi da buttare” E lei mi ha rinviato a parlarne con il titolare dello studio che organizza l’evento, Alessio (@alessio_mapelli). Il quale mi riconforta, dopo che ho a lui spiegato cosa cercavo di realizzare e perché. Questo a patto che fossi riuscito a convincere gli altri partecipanti l’evento.

Alla fin fine il luogo era vicino casa, il costo un po’ minore, avere anche scatti realizzati in studio con luce artificiale per il mio Portfolio possono essere un plus, e al limite a me sarebbe bastata anche una sola la prima ora con Sofia (con la quale ci accordiamo anche per l’outfit nel frattempo) e il resto dello shooting, così, anche tanto per. L’importante è portare a casa degli scatti all’altezza.

Fu così che accettai.

Il giorno dello shooting – tre magliette nere all’ingresso dello studio

Clem Onojeghuo on unsplash.com

Clem Onojeghuo on unsplash.com

Una domenica di questo mese. Luminosa e calda, ma non troppo, arrivo allo studio, maglietta nera e borsa fotografica carica. Lì davanti incontro un’altra maglietta nera e zaino fotografico: un compagno di corso, che aveva già suonato al campanello, così arrivo giusto giusto in tempo per vedere aprire il titolare dello studio, anche lui in maglietta nera.

Che volete farci, in studio è prassi vestire così. Nei progetti complessi, con una numerosa crew di diverse figure professionali, questo almeno aiuta a riconoscere chi è il “commander in chief” – o almeno penso che questo sia il motivo.

Entriamo in uno studio vuoto di persone.

Siamo solo noi a scattare? Chiedo.

, mi risponde Alessio.

Mi sento riconfortato. I partecipanti sono due, e anche le modelle sono due, non ci saremmo intralciati.

Alessio: Venite, vi faccio vedere gli ambienti, l’attrezzatura.

E io, poco dopo: Uh? E queste belle finestrone qua? Hai mai pensato di utilizzato di usarle?

No, veramente no. Ecco qua, questi sono i flash, lo sfondo qui è nero, lì è color nero.

‘Peccato per la finestra’, penso dentro di me ‘comunque vedrò di farci qualcosa’.

Quattro chiacchere fra tre fotografi creativi.

1. Ero a questo modelsharing di nudo con modella super. Mi presento ai fotografi organizzatori e chiedo di scattare per primo e di gestire posa e luci come dico io. I due si incuriosiscono e mi lasciano fare. Io dirigo la modella che si aspetta il solito MdF[3], ma le faccio subito cambiare idea indicandole come posa questo e quest’altro. Faccio mettere due luci strip in alto e di lato, così le illumino il profilo solo ai lati. Quando ottengo lo scatto che voglio, chiudo tutto e me ne vado. I due fotografi mi fermano e mi chiedono il contatto.

2. L’altro giorno ho dato un’occhiata alla nuova ML di Canon. Non so cosa pensarci, ma gli adattatori sono fighi. Ne hanno uno in cui è possibile inserire un filtro. Certo, non è un formato standard e quindi deve essere per forza Canon. Gli ho chiesto quello più economico che avevano. “Per farci cosa?” mi chiedono. “Perché lo voglio rompere” rispondo. “Ma perché lo vuole rompere?” “Eeeeh, sono fatti miei…”

3. S’è per questo io ho un fungo che sta crescendo nel mio 135mm. Quando l’ho scoperto ho temuto di dover buttare l’obiettivo, ma poi ho imparato a sfruttarlo e me lo sono tenuto. Oplà: vi presento il mio fungo. Dico, mostrando uno scatto particolare dal suo account Instagram.

2. Quindi lo stai sfruttando creativamente! Bene! Beh, siamo fatti così: rompiamo filtri…

3. E coltiviamo funghi negli obiettivi.

La fase dello shooting, con Sofia e Jelly

Kevin Jesus Horacio on unsplash.com

Kevin Jesus Horacio on unsplash.com

All’inizio:

Io. Vediamo se funziona il trigger? Ho avuto problemi in passato con flash tempo fa.

Monto, controllo, va.

Davanti al primo set con strobi. Comincio a fare i primi scatti.

‘Mazza come sono piatte ste foto!’ Mi dico controllando i primi scatti dallo schermo posteriore della mia K3ii. Aspè, com’è che si cambia la potenza dei flash?

Mi viene spiegato. Do una differenza di alcuni stop fra i due strobi posizionati in uno schema a farfalla.

‘Ah, adesso cominciamo a ragionare’.

In medias res:

‘Senti va, spegnamone uno e uso solo l’altro’.

Sì, cara, proviamo questa posa e io… vediamo, uh cos’è quella, una scala?

Eh, sì. Mi conferma Alessio, sempre presente ad aiutare quando c’è bisogno.

Fico, voglio provarla!

Rivolto alla modella: Allora dov’eravamo rimast… ooops, vediamo di non cascare di testa da questo trabiccolo.

Bella così, ora su il mento e guarda in distanza.

Alla fine dello shooting:

Davanti a uno dei finestroni con vetro zigrinato e rivolto alla modella:

Ora proviamo a usare la Luce Naturale, userò questo vecchio Konica 40 1.8, che a tutta apertura fa effetto Soft Focus, la qual cosa complica la messa a fuoco, ma il risultato… uh!

Così, stupenda! Guarda verso la luce. La spalla tienila rilassata, giù. Potresti abbassare la spallina?

Ancora un poco… ancora un poco… ecco, fatta!

Avvicinandomi a lei tenendo la macchina fotografica con lo schermo rivolto alla modella.

Visto che bell’effetto? Non sembra male, vero?

Conclusioni

Ed ecco quanto. Oltre all’esperienza di questo particolare shooting, al divertimento e al piacere che ho provato usando spazi e attrezzature come un grande centro di ricerche d’immagini personale, esperienza che sicuramente non posso non definire come positiva[4], vale qui la mia idea per cui: almeno nel settore del Ritratto (nelle sue varie fattispecie preso), il fattore tecnico, la spinta verso l’assoluta qualità d’immagine, viene dopo l’inventiva e la ricerca di un proprio stile, unico, di scatto. E miglia su miglia dopo la capacità di raccontare storie per immagini.

Vedete, potete sicuramente trovare, essendo questa anche mia esperienza personale, quell’annuncio di lavoro da studio fotografico, che richiede come precondizione di accettazione al colloquio di lavoro, il possesso di un qualche costoso corpo macchina Full Frame, con ottiche e altra attrezzatura.

Non mancano, anzi, abbondano le torme di amatori ed entusiasti della Fotografia che non faranno altro che blaterare di Gamma Dinamica, Profondità di Campo, Assenza di Rumore agli Alti Iso, e altre tecnicalità.

Qui no,

qui si possono disegnare solo i profili delle modelle con un paio di luci, si possono usare filtri in vario modo rovinati, o anche “coltivare funghi” in un obiettivo (e usare quelli degli anni ’50, ’60, ’70, mettendo a fuoco in manuale, e usare attrezzi da cucina, e tutto quello che la mente umana può inventarsi), per creare storie dal look diverso dal solito, emozionanti, riconoscibili.

Hic sunt creatores.





Ad Majora!






















[1] Flash da studio, mediamente più grandi e potenti di quelli detti “a slitta” e di più comune uso.

[2] Dicasi con questo neologismo, quello strano mese di freddo e pioggia continua.

[3] Abbreviazione universalmente nota per “Morti di Figa”, quel sostanzioso numero di fotografi, cioè, che presenziano ai modelsharing con l’unico intento di ammirare da vicino il corpo della modella.

[4] E di cui avrò modo di parlare più approfonditamente quando verrà il momento di mostrare la selezione, editata, degli scatti realizzati quel giorno a Sofia (@spicyroller_sg) e a Jelly (@jelly_suicide_).

Sulle modelle 4 - il momento della Post (Panoramiche #9d)

Introduzione
Per chi dovesse accorgersi solo ora di questa serie di articoli sul rapporto fra fotografo (specialmente se in formazione) e modelle, avverto che in precedenza si è già illustrato sia l’importanza fondamentale delle modelle, che di come contattarle, oltre alla preparazione e allo spirito necessario – una volta arrivato il giorno – prima dello shooting.

Ora, tornati a casa con le schede di memoria piene e la liberatoria fotografica compilata e firmata, messa in archivio, comincia l’altra metà dell’attività di Fotografo: lo sviluppo degli scatti.

Questo articolo non tratterà in generale la questione (anche se in realtà ne avevamo già accennato in passato), più che altro ci soffermeremo sul rapporto fra tipo di collaborazione con la modella ed elaborazione di ritratti.

Di selezione degli scatti, tempistiche e altri fattori dello sviluppo in base al tipo di shooting

Selezionare lo scatto in LR, ph: Francesco Coppola

Selezionare lo scatto in LR, ph: Francesco Coppola

Esiste una differenza fra sessione di scatti in collaborazione TF e una in cui la modella viene pagata anche per quel che riguarda questa, fondamentale, fase del lavoro fotografico. Se lo shooting è stato pagato, infatti – fatto salvo il rapporto personale con il soggetto – la modella può vedere solo gli scatti editati al loro stato finale, una volta che il fotografo ha finito di svilupparli e li espone sul proprio sito, o altra piattaforma fotografica che desidera (sempre, a patto che abbia la liberatoria firmata in archivio).

Una collaborazione, invece, presuppone che in qualche modo fotografo e modella si consultino anche durante la fase di sviluppo, tenendo però a mente un punto fondamentale: la selezione finale degli scatti, l’ultima parola in merito ai trattamenti da operare via software di photoediting spetta unicamente al fotografo. Per il resto ci si può organizzare quanto più liberamente si voglia.

Personalmente, in caso di collaborazione, invio i provini a risoluzione minima degli scatti prima dello sviluppo, scremati appena delle prove di esposizione e degli scatti con focus o esposizione venuti male. Siccome, però, lo scatto RAW come sfornato dalla macchina fotografica è così diverso dalla sua versione finale, questa visione ha un valore relativo, semmai varrà come prova delle capacità di sviluppo a computer del fotografo.

Le selezioni però non finiscono certo alla primissima scrematura. Dopo questa, infatti, parte la decisiva ricerca degli scatti più attinenti al mood che insieme si è evocato, e quelle di maggiore impatto. Questo può richiedere più di una selezione, anche perché è bene abituarsi (se si vuole lavorare con agenzie e riviste), selezionare non solo delle “prime scelte”, ma anche una serie di foto che costituiscano una “seconda scelta”, cosa che – ribadisco – le controparti nelle agenzie e nelle riviste si aspettano.

In caso di collaborazione TF, quindi, è altamente probabile che uno scatto in cui la modella si vede meglio potrebbe non rientrare negli scatti di prima o di seconda scelta. Qui sta il lato più delicato della collaborazione e un compromesso va trovato. In ogni caso, alle brutte, si può aggiungere qualche scatto in più “per la modella”.

Qualche parola in più sulle tempistiche dello sviluppo

Prima e seconda scelta in Adobe Lightroom, ph: Francesco Coppola

Prima e seconda scelta in Adobe Lightroom, ph: Francesco Coppola

Quanto sopra illustrato ci porta a quanto segue: contrariamente a quella che può essere la percezione di è esterno al mondo della Fotografia, lo sviluppo a computer di una serie di scatti richiede tempo, ponderazione e preparazione. Un workflow completo di una sessione di Ritratto, dall’iniziale scrematura degli scatti sbagliati, alla presentazione di alcuni jpeg completamente sviluppati, dura mediamente un mese – se il fotografo ha da sviluppare un solo shooting in un dato periodo di tempo, cosa che, auspicabilmente, gli capita raramente. Più probabile, infatti, è che abbia per le mani tre o quattro sessioni di scatto eseguite in un mese, e questo può comportare difficoltà.

Il qui scrivente tende a svolgere comunque i lavori in ordine cronologico, tentando per quanto gli è possibile, di rispettare quella tempistica media per ogni singolo shooting. Alle brutte, fra uno shooting pagato e uno in collaborazione, posso dare la precedenza al secondo. Dovessero, però, capitare dei lavori su commissione, sarebbero queste ultime ad avere la precedenza sui progetti personali.

Questi lavori fotografici, editoriali o campagne che siano, possono essere diversi, in numero di scatti, tipo di concept, illuminazione, location, eccetera, possono variare e tutti prevedono diversi gradi di collaborazione con cui il fotografo deve contrattare.

Il punto è che il fotografo, quando si arriva al livello professionale, decide le selezioni di scatti (prima e seconda scelta) su cui lavorare e da presentare al selezionatore in agenzia, della rivista, oppure all’Art Director del Brand. L’accettazione degli scatti, di prima o seconda scelta, sta a queste ultime figure.

Può capitare che una prima scelta venga accettata in toto, ma più spesso capita – soprattutto agli inizi di una carriera – che vengano preferite le seconde scelte, oppure il fotografo è costretto a tirar fuori uno scatto che non aveva selezionato affatto.

La pazienza e la capacità di autoanalisi, di contrattazione e di comprendere le motivazioni altrui è quindi tutto un bouquet di capacità che vanno inserite nel novero delle abilità del fotografo che vuole diventare un professionista nella Fotografia di Ritratto e Ritratto Moda.

Questo – ancora una volta – va oltre e al di là dell’attrezzatura fotografica utilizzata, la quale ha sicuramente un suo ruolo e importanza, ma non è tutto.

Ci vuole il Workflow

Workflow strategy by Campaign Creators on unsplash.com

Workflow strategy by Campaign Creators on unsplash.com

In un precedente articolo ho già parlato dei requisiti minimi di un computer capace di reggere un processo di sviluppo fotografico, oltre che ad accennare ai programmi più diffusi per questo fine.

Qui mi concentrerò invece a esporre velocemente in merito al Workflow, o Flusso di lavoro, se preferite, come anche di alcune tecniche usate dai ritrattisti.

Qualsiasi fotografo, dal livello amatoriale sino al professionista, deve sviluppare prima o poi un proprio flusso di lavoro a computer per lo sviluppo delle foto. Questo vale per qualsivoglia genere della Fotografia.

Si sappia però che il Ritratto fotografico necessita tecniche che gli sono proprie e che altri approcci allo sviluppo fotografico possono dare risultati pessimi. Questo soprattutto a causa delle caratteristiche della pelle che reagisce assai male (e ben presto) all’uso di slider come quello del Contrasto, del Dehaze e della Clarity.

Le singole tecniche specifiche si possono anche apprendere on line sulle tantissime piattaforme di apprendimento via web. Un workflow completo da ritrattista, però, è un procedimento complesso che sarebbe meglio apprendere in un corso frontale.

Non mancano infatti video sulla Frequency Separation e sul Color Grading fotografico, ma il workflow da Ritratto, però, ha una sua struttura propria, un preciso punto d’inizio, una prima fase in cui vanno utilizzate alcune tecniche, mentre altre vanno lasciate per una fase successiva, e infine vi sono procedure necessarie per rifinire il file e salvarlo a seconda di una destinazione a schermo, o a stampa.

Un processo complesso e lungo che deve tenere in conto vari fattori, fra cui il fatto fisiologico che lavorando sui colori, è bene staccare ogni tanto: alzarsi dalla sedia e andare a fare altro per alcuni minuti da un’altra parte. Ciò perché la mente umana è fatta per adattarsi ai colori che vede e se si lavora troppo a lungo davanti a una sola immagine in cui si stanno elaborando le sfumature di colore, si può finire per non percepire la foto come si deve.

Conclusioni

Ci siamo portati un po’ avanti con l’illustrazione del processo di sviluppo delle foto, come se fossimo già impegnati a lavorare per Agenzie o Riviste. Naturalmente no, sto ancora lottando per completare il mio primo Portfolio da presentare alle agenzie. Ho ritenuto però utile dare una visione più generale e in prospettiva di cosa comporti sviluppare le foto di Ritratto.

Mi preme rendere nota la complessità e lunghezza del processo. Certo, naturalmente, la selezione di pochi scatti – fra le centinaia eseguiti – aiuta a non finire a passare la vita seduto al pc. Esperienza e linee guida, là dove applicabili - soprattutto per lavori commerciali, possono aiutare a velocizzare il processo. L’occhio del fotografo va alimentato di buone e sapienti visioni. Mostre, libri, corsi, film, fanno tutte parti di un quotidiano, continuo, miglioramento della capacità di lettura della luce, dei colori e delle immagini nella loro strutturata complessità, un altro elemento da tenere a mente oltre alla caccia all’ultima novità uscita di recente dal proprio marchio fotografico preferito.

Ritengo, inoltre, che sia utile abituarsi a collaborare in TF, perché dopotutto il lavoro di contrattazione che si fa con la modella, prima o poi, lo si dovrà fare – quando questa arte diventerà un mestiere – con l’Art Director di un Brand, o un selezionatore di Agenzia. Prima si comincia e prima si apprende un’altra delle mille expertise che sono richieste per lavorare nel mondo della Fotografia di Ritratto e Ritratto Moda.

Quanto sopra scritto porta a termine il mio lungo excursus sulle modelle, spero che, tu lettore, lo possa trovare in qualche misura interessante.

ti invito qui lunedì prossimo, per la prossima pubblicazione di nuove foto. Perché qui, se ne vedono sempre delle belle!

A presto e


Ad Majora!




Sulle modelle 3 (Panoramiche #9c)

Introduzione
E così ce la si è fatta. Avuto il primo contatto positivo con la modella si è stabilito un dialogo che ha fissato le condizioni di scatto, il tipo di progetto da realizzare e il come realizzarlo. Scansati giorni piovosi e le invasioni delle cavallette, ora si ha il suo numero di smartphone e ci si tiene in contatto via Whatsapp. Siamo di fronte alla scrivania con tutta l’attrezzatura pronta a venire caricata in borsa prima di uscire. Ne consegue una prima domanda:

Andrew Neel on Unsplash.com

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Cosa portare?

In primis la testa, il cuore e spirito. Prima di tutto la considerazione e il rispetto per il soggetto che si va a fotografare, insieme col desiderio di elevarla a una dimensione congelata ed eterna nel tempo. Si vogliono creare foto memorabili, uniche, emozionanti. Non si parte certo per andare a un simile appuntamento con lo spirito del “tanto per fare”.

Suggerisco, vivamente, a questo proposito, di andarsi a guardare la puntata del Photo Factory Modena con Toni Thorimbert. Non è un genere semplice questo, ed è bene che se ne abbia coscienza.

Soggetto e Fotografo, prima dello scatto sono creature diverse da quelle che scatteranno – in sintonia – insieme, così come ancora diverse saranno una volta ultimato la sessione di scatto. Entreranno nel bagaglio del Fotografo nuove casistiche e reazioni a spunti, tecniche e idee che dalla volta successiva egli potrà richiamarle alla memoria per reagire prima e meglio alle più svariate situazioni. Si cresce professionalmente, insomma.

Chiaro è, questa attività può e deve essere percepita come un divertimento, ma ci si deve intrigare nell’inquadrare la modella, suggerirle pose, incontrare e sfruttare spunti che appaiono/scompaiono, farle vedere gli scatti dallo schermo della macchina, perché così poi ci si coordina meglio. E poi, ovviamente c’è l’altra metà dell’opera che deve divertire: la post-produzione.

Alex Iby on unsplash.com

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Prima di decidere cosa portare allo shooting, poi, proprio per fare una scelta accurata, bisogna conoscere bene i propri mezzi, pregi e limiti, vedere poi l’effetto che fanno in uso.

Per il resto, i consigli tecnici lasciano un po’ il tempo che trovano. Ci sono fior di Fotografi che non fanno ritratti con obiettivi più grandangolari del 28mm e più tele del 50mm. Altri spergiurano che si devono utilizzare solo lunghezze focali fra gli 85 e i 135mm, ma è possibile trovare chi si diverte un mondo usando – sempre per i ritratti – obiettivi grandangolari o teleobiettivi spinti (200 o 300mm).

Alcuni pregiano lenti super risolventi già a tutta apertura, ma chi fa Moda, magari, non necessità né di grandi aperture, né di un eccesso di dettaglio. Qualcuno crede che l’avanzamento tecnologico nella costruzione degli obiettivi porti solo a fotografie sempre migliori. Per tanti altri, però, la qualità degli obbiettivi di una volta è peculiare e andata perduta.

Tutto sta nel sapere cosa si vuol fare, quale risultato finale ottenere. Quale look imprimere nello scatto. Quale Feel esso debba trasmettere.

Prima di uscire a scattare, infatti, bisognerebbe avere una cultura di film e servizi fotografici e video musicali delle varie epoche. Spesso per ottenere la “voce del brand” richiesta, si fa riferimento a un’epoca particolare dei trend fashion, a qualche film e a dei gruppi del tempo.

Per non parlare del fatto che bisogna conoscere i comportamenti della Luce, che sia Naturale o ambientale o artificiale. Come Luci e Ombre possono cambiare forme e colori.

A proposito di Colori, conoscerne la psicologia è importante, è parte del Linguaggio creativo.

Tanti sono gli strati di lettura e interpretazione possibile di un Ritratto, dopotutto, cosa si credeva? Che contasse solo la gradevolezza del soggetto e quanta pelle scoperta se ne ritrae?

Detto ciò, sì, viene l’elenco:

Jakob Owens on unsplash.com

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macchina fotografica, va bene; obiettivi – ottimo! Più di uno? Uno solo? Dipende.

Più di una batteria e diverse schede di memoria, certamente.

Flash e stativi, se si usano. Pannelli riflettenti e traslucidi, magari se si usa la Luce Naturale.

Poi c’è il piccolo prontuario del Ritrattista creativo: filtri, gel, sfere di cristallo, prismi, specchi, bombe fumogene, e via discorrendo in un lunghissimo elenco.

Serve inoltre una o più copie della Liberatoria per soggetto adulto, altrimenti minorenne se si sta fotografando un soggetto minorenne – col consenso e sotto il controllo di almeno un genitore. Questa Liberatoria è necessaria perché il Fotografo possa pubblicamente esporre l’immagine del soggetto e va compilata sia che si scatti in TF, che a pagamento.

Conclusioni

Considerate che, secondo almeno la mia personale esperienza, di foto veramente buone in uno shooting ne escono pochine. Si torna a casa con qualche centinaio di scatti, per poi finire a selezionarne una dozzina su cui lavorarci su in post, da cui ne usciranno sì e no quattro prime scelte e altrettante seconde (detto così, forfettariamente). Foto da Portfolio? Se ne avranno mediamente anche meno.

Visto e considerato che un Portfolio contiene dai 20 ai 25 scatti, potete avere una vaga idea di quant’è lunga la strada per farsene uno e cominciare ad affrontare la Gran Prova di presentare questo succo di Vita, Esperienza e Passione ad Agenzie con cui si ha una, e una sola, occasione per farsi valutare.

Ma questo è l’arduo cimento, questo il salato premio nel riuscire – uno su mille (o dieci, magari anche centomila).


E per oggi questo è quanto.

Seguirà, la prossima settimana, la trattazione sulla postproduzione e il rapporto fra questo e la modella fotografata.

A presto quindi, o lettore!





Ad Majora!










Sulle modelle 2 (Panoramiche #9b)

 Introduzione

Abbiamo accennato, nella precedente puntata, come le modelle siano fondamentali per costruirsi un Portfolio degno di questo nome, che va bene anche cominciare mirando a soggetti meno impegnativi (economicamente in primis) come parenti e amici, ma che lo studio, la pratica sono essenziali e portano inevitabilmente a cercare soggetti capaci di dare un contributo all’immagine finale.

Abbiamo anche già affermato che, se pure la fonte principale da cui attingere sono le costose agenzie di modelle, esistono altre soluzioni: social e siti specializzati nell’incontro fra domanda e offerta fra fotografi, modelle e altre figure del settore immagine.

Detto ciò, però, resta una domanda a cui dare risposta, quella che impegnerà tutto il presente articolo.

Come si contatta una modella?

Aldo Diazzi takes a photo of model Chiara Minola, photo by Francesco Coppola

Aldo Diazzi takes a photo of model Chiara Minola, photo by Francesco Coppola

Per cominciare occorre avere già fatto almeno qualche ritratto da esibire al momento di presentarsi. Potrebbero anche non essere foto “da Portfolio”, ma provenire da modelsharing, workshop veloci, scatti fatti in casa a parenti e amici, come anche da corsi di Fotografia generalista e meglio ancora ritrattistica. Il tutto serve perché la modella possa valutare a che livello si è.

Quindi, scattare in modelsharing non servirà magari a farsi il Portfolio, ma può essere un inizio di pratica e se si ricavano scatti interessanti da queste occasioni, per lo meno possono servire per intendersi al momento di presentarsi a una modella.

Come già detto, esistono modelle di livello e di esperienza diversa. Alcune sono alle prime armi (non totalmente agli esordi, ma con un’esperienza limitata) e possono accettare di scattare in collaborazione sotto la formula del TF. Altre, magari, che hanno già più esperienza e competenza, possono comunque accettare di scattare in low budget [1].

Quando ci si presenta a una modella, perché per esempio si è visto su un gruppo Facebook un annuncio di disponibilità a posare, si contatta la modella in messaggio privato, presentandosi educatamente e fornendo il link alla pagina web ove si espongono i ritratti che si sono fatti e chiedendole se è disposta a scattare insieme in TF o in low-budget.

A portrait photographer's self portrait, model Martina Mereu, photo by Francesco Coppola

A portrait photographer's self portrait, model Martina Mereu, photo by Francesco Coppola

Bisogna presentare almeno un quattro/cinque foto di ritratto e ciò perché – cominciamo a farci l’abitudine – un fotografo, di qualsiasi livello, afferma completamente il suo “io sono” esponendo il proprio Portfolio. Nome/Cognome e basta non va bene e non serve se si sta contattando privatamente una persona per chiederle di posare, le si sta solo facendo perdere tempo. Il Portfolio (per quanto incompleto, iniziale) è la chiave. Il Portfolio è molte altre cose, ma ne parleremo un’altra volta. Vi basti sapere che se volete fare sul serio in questo settore, dovete farvene uno.

Bisogna imparare ad aspettare prima di entusiasmarsi troppo

photo by Markus Spiske on unsplash.com

photo by Markus Spiske on unsplash.com

Questo è un errore che si tende a fare per inesperienza e che ovviamente ho fatto personalmente in più occasioni e vorrei risparmiarvelo. Se, al primo contatto infatti, una modella si dichiara disponibile a scattare, ciò non vuol dire ancora che si arriverà per forza di cose a concretizzare con lei il progetto.

Accordata una disponibilità generale, restano ancora da determinare altri elementi – tutti fondamentali per la buona riuscita di uno shooting: stabilire l’idea dello scatto (quale genere di ritratti si intende fare, in quale location, con quale tipo di luce), l’outfit ed eventuali accessori che la modella indosserà, ma soprattutto il perché li deve indossare (cioè: quale emozione si vuole trasmettere con gli abiti e le pose, vale a dire il così detto Look&Feel), tipo di ambiente in cui si scatterà, infine data e orario dello shooting.

Quando si arriva a scambiarsi i numeri di smartphone per continuare a tenersi in contatto via Whatsapp, in vista dell’incontro nella location concordata allora è fatta.

Forse.

Possono ancora arrivare le cavallette in verità, e poi può capitare anche una terribile inondazione e magari la lavanderia potrebbe tardare a pulire il tight.

Ovviamente scherzo, ma i contrattempi che possono ritardare o rovinare del tutto l’organizzazione di uno shooting sono sempre dietro l’angolo. Va bene e bisogna accettarlo.

Se può essere di consolazione, gli appuntamenti non vanno a vuoto solo ai praticanti che ancora devono ultimare il loro primo Portfolio, capita anche ai professionisti con una crew ingaggiata e uno studio già prenotato e progetti importanti (e ben remunerati) da realizzare. Un professoinista provvede al rimpiazzo veloce e non si scompone.

Inoltre, a volte è necessario fornire alla modella un documento chiamato Moodboard, che non è altro che il canovaccio del progetto e ne stabilisce l’idea generale, il tipo di abiti ed eventuali accessori, quali luci e quali inquadrature si pensa di effettuare e altro. Un tipo di documento che si usa normalmente nel mondo della Moda e che ho imparato a stilare nel corso di Fotografia di Moda e consiglio a chiunque voglia seguire il mio medesimo percorso di fare altrettanto.

Nella contrattazione per uno shooting, però, la mia personale esperienza non consiglia di partire a consegnare subito un moodboard a una modella che non si conosce. Potrebbe essere troppo. Qualche modella preferirà accordarsi con un’idea molto vaga e generale di shooting e se si vede piombare addosso un piano per un progetto già molto definito come quando si presente un Moodboard, si può anche intimorire e sparire. Va bene e bisogna accettarlo.

Altre, invece, possono proprio chiederlo. Anche perché, ovviamente, anche se la modella è disposta a una collaborazione TF, non è che sia disposta a perdere il proprio tempo. I livelli di verifica, vedete, possono non finire mai, la capacità di buttare giù un buon Moodboard può essere una di queste prove supplementari.

Vi confesserò a tal proposito, l’anno scorso sono andato dietro a una modella per tre mesi – se non quattro. Le ho proposto idee semplici da realizzare in un parco milanese, poi un moodboard completo per un progetto da realizzare in studio, ho provato sempre a venirle incontro. Alla fine, quando oramai ci avevo rinunciato, lei si è fatta viva e mi ha concesso un’ora per una sessione alquanto improvvisata ai navigli. Perché? Perché non era sicura che il tempo che mi avrebbe concesso sarebbe stato ben speso, che le avrei consegnato poi delle immagini abbastanza buone. Anche questo, accade, va bene e bisogna accettarlo.

Vi sono, inoltre, modelle abituate a scattare in studio con gli strobi [2], che hanno difficoltà ad apprezzare l’idea di andare in un parco al tramonto scattando unicamente con Luce Naturale. Posso tranquillamente dire che, così come ci sono fotografi che amano scattare principalmente in Luce Naturale (come il sottoscritto), altri concepiscono solo i look ottenuti con l’uso di luci artificiali, lo stesso vale per le modelle.

Vedete, una modella – anche se alle prime armi – potrebbe legittimamente ritenere che scattare in studio, con flash sia “professionale”, mentre gli scatti realizzati per strade, piazze e parchi, senza flash, le potrebbero sembrare troppo “poveri” e quindi una perdita di tempo. Ancora una volta, va bene e bisogna accettarlo.

Le condizioni atmosferiche, poi, sono un altro elemento che può inficiare un’organizzazione che sembrava procedere su binari ben solidi. Dopotutto, una modella abituata a posare in Luce Naturale in città o in un parco, se piove non è detto (anzi, dalla mia esperienza direi che è raro) si adatti a scattare in studio. Sino a ora, io personalmente, non ho mai trovato una ragazza disposta a scattare con la pioggia, nemmeno se le ho proposto di posare lei in una macchina, o dietro la vetrina di un negozio, e a scattare fuori, sotto la pioggia, sarei dovuto rimanerci io.

Con la pioggia, che vogliamo farci, il trucco si rovina, i capelli possono patire, umore e motivazioni soffrono. Un’alternativa, in casi simili, potrebbe essere scattare in appartamento, sfruttando la luce che filtra dalle finestre. Anche qui, bisogna vedere se la modella è disponibile. Potrebbe non esserlo. Nel probabile caso, va bene e bisogna accettarlo.

Vedete, quindi: arrivare a concretizzare un progetto non è cosa banale. Sia prima, che durante la fase di scatto (che toccheremo in un’altra parte del presente articolo), chiedere alla modella cosa si sente di fare, se si sente a suo agio a posare come le si chiede di fare, è un atto dovuto.

Qui sta il punto: il ritratto, in nuce, è la risultante del rapporto fra Fotografo e Modella.

Non per niente, è risaputo, la Ritrattistica è uno dei generi più complessi della Fotografia, se non il più difficile in assoluto, ma dopotutto: più alta è la difficoltà, più alta la soddisfazione a riuscire.

Fare un annuncio di ricerca per modella in TF

Dati tutti i contrattempi sopra citati, i quali causano il ritardo nella costruzione di un Portfolio nonché una certa quantità di frustrazione, prima o poi ci si mette a cercare annunci sui social, ma se anche da quelli niente di buono esce fuori non si può fare altro che produrre un annuncio e presentarlo in siti specializzati.

Non è che sia così difficile farne uno, ma nel caso vi sia bisogno di un’ispirazione semplicemente si deve indicare il tipo di ritratto che si intende fare (street, in ambiente naturale, fashion, beauty, etc.), la zona dove si intende farlo, magari ci si presenta anche col solito metodo: nome, cognome più link al portfolio, o altrimenti sui gruppi Facebook si posta qualche foto dai lavori precedenti, infine si dice in quale modalità si vuole scattare, TF, low-budget, o la cifra (se si vuole) che si è disposti a pagare.

Credo di aver scritto abbastanza per questa seconda parte.

La prossima settimana affronteremo il momento della realizzazione dello shooting, delle condizioni di scatto diverse e cosa comportano, della liberatoria fotografica e della differenza, anche in fase di post produzione, fra collaborazioni e scatti per cui si è pagato.

Nel frattempo – penso e spero – ricomincerò a fotografare con modelle – se, ovviamente, tutte le costellazioni e i pianeti si allineano e mi conferiranno l’opportunità di provare le mie capacità e di fornirvi sempre della Belle nuove da ammirare.

 

Ad Majora!.

Sulle modelle 1 (Panoramiche #9a)

Introduzione

Working on a dream, (in photo model: Martina Mereu); ph Francesco Coppola

Working on a dream, (in photo model: Martina Mereu); ph Francesco Coppola

Non ci sarebbe Fotografia di Ritratto[1] senza soggetti da fotografare. Certo, si può ricorrere ad amici, partner, volendo anche il gatto o il cane di casa, sono sempre dei punti di partenza, così come invece non sono i passanti per strada che vengono immortalati mentre sono occupati in proprie faccende. Neanche lo scatto rubato a una modella professionale, fotografata mentre posa per il proprio fotografo in una piazza, si può parlare di Ritratto.

Ciò, perché:

Il ritratto è tale solo quando il soggetto ha coscienza di essere ritratto[2].

Iniziare con soggetti che non sanno come stare in posa senza che il fotografo, in primis, sappia come mettere in posa i propri soggetti, però, non porta molto lontano. Certo, ci sono luoghi su internet come Pinterest, o i siti fotografici come 500pix e Flickr da cui trovare idee, ma senza una formazione iniziale del Fotografo neanche così si ottiene molto.

Photo by Drew Graham on unsplash.com

Photo by Drew Graham on unsplash.com

Le modelle (detto in generale da ora in poi anche per i maschi), sono quindi necessarie per la costruzione di un buon Portfolio da presentare poi alle agenzie. Sono professioniste così come lo sono i Fotografi e ovviamente ve ne sono di amatoriali, alle prime armi, così come più o meno affermate sia parte di un’agenzia che indipendenti. Come tali sono persone che meritano ogni rispetto e vanno consultate per chiedere il loro parere sugli scatti che si faranno insieme, questo soprattutto quando si è in una situazione di collaborazione alla pari che va sotto il titolo di TF-CD[3].

Modelsharing e workshop veloci

C’è anche una certa offerta di modelsharing o workshop veloci[4] di Ritratto in cui si possono fotografare delle modelle. Per cominciare a prendere la mano con composizione e pose, se si riesce a cogliere qualche esempio o suggerimenti dal fotografo accompagnatore, possono anche andare bene[5]. Non ci si aspetti, però, che foto così ottenute possano avere un qualsiasi uso professionale o andare in Portfolio.

Questo perché gli scatti che vanno a Portfolio devono essere solo quelli in cui location, illuminazione, posa, style eventuali prop[6] sono stati decisi dal fotografo e concordati con la modella.

Bisogna anche valutare il tipo di workshop o modelsharing a cui si va a partecipare: se non si è ancora imboccata una strada specifica, ok, altrimenti si consideri che la fuori si offre sin troppo facilmente un’esperienza di scatto glamour, che non è esattamente la stessa cosa del Ritratto Ambientato, di quello Beauty o Fashion.

Corsi frontali e workshop propriamente detti

Francesca Moro in Prova Colore, ph: Francesco Coppola

Francesca Moro in Prova Colore, ph: Francesco Coppola

Il modo propriamente detto, più formativo e anche più costoso, ma non così tanto, è costituito dalla frequentazione di corsi e workshop frontali classici, organizzati in una sede di studio fotografico o associazione abbastanza grande. La spesa ammonta a qualche centinaio di euro, ma se si sceglie bene, si entra in contatto con fotografi insegnanti di livello che sanno trasmettere informazioni di prima mano dal mondo della Ritrattistica professionale. Scatti realizzati nel giusto workshop, qualora questo sottoponga i partecipanti a esercizi individuali di realizzazione di un concept, possono entrare a far parte di un Portfolio.

In seguito, bisognerebbe organizzare le proprie sessioni di scatto contattando le agenzie, presentando un progetto di scatto e richiedendo loro una modella, il tutto pagando quanto richiesto per il tot di tempo necessario.

Nel caso si abbia la disponibilità economica per permettersi simili investimenti, sono certamente consigliati in quanto una modella di agenzia è molto probabile che sappia dare un buon contributo decisivo alla ricerca fotografica del fotografo.

L’alternativa degli shooting in TF

Martina Mereu in Realizzazione; ph: Francesco Coppola

Se si è cronicamente in bolletta come il sottoscritto, però, pagare per tre o quattro sessioni di scatto al mese un’agenzia non è un’opzione neanche vagamente accessibile. Si può allora ricorrere a siti come Fotoportale. it che permettono l’iscrizione gratuita come fotografo amatoriale e la pubblicazione di annunci di ricerca di modelle (e altre figure del settore) amatoriali. Altrimenti vi sono i social (Facebook e Istagram) e in essi gruppi specifici per annunci di ricerca di modelle, fra le quali ve ne sono anche di amatoriali e disponibili a scattare nella formula di collaborazione TF.

Amatoriale, ovviamente, significa che la modella non ha un suo book[7] completo, oppure lo fa per puro piacere personale, possono comunque essere anche persone di una certa competenza. A me così è capitato di scattare con studentesse dell’Accademia di Brera, magari esse stesse appassionate di fotografia. Ho ritratto anche una giovane fotografa che trovava utile passare dall’altro lato dell’obiettivo per ampliare la propria conoscenza delle pose. Tutte persone che, per un Fotografo che comincia a specializzarsi, sono valide.

E questo per oggi è quanto, la prossima settimana parlerò di come contattare sui social le modelle per scatti in TF. A presto, quindi, e



Ad Majora!





[1] A parte l’autoritratto, ovviamente.

[2] Efrem Raimondi: http://blog.efremraimondi.it/ritratto-quattro-regole-pero/ 15, 6, 2015

[3] Tempo per Foto su CD, oppure, visto che quel supporto quasi non si usa più, basta indicarlo come TF.

[4] Di circa 4 ore.

[5] Dopo aver fatto quei corsi che consentono di padroneggiare macchina fotografica e le ottiche da ritratto, ma anche dopo averne seguito qualcuno pure di post produzione digitale.

[6] Style e prop nel mondo della Fashion Photography indicano i capi di abbigliamenti che indossa la modella, mentre il secondo termine indica un qualsiasi oggetto della più varia natura che viene aggiunto per aggiungere un elemento di stile. Per esempio: in una sessione di scatti dove l’obiettivo è ricreare lo stile di abiti strada degli anni ’80 americani, l’aggiunta in scena di un grosso stereo a cassette portatile, costituisce il prop del caso.

[7] Equivalente per modelle e modelli del Portfolio dei fotografi.

C’è da fare (Panoramiche #8)

Introduzione

Nel 2019 potrebbe sembrare che nel mondo della Fotografia non ci sia più niente da inventare, che tutto sia stato già fotografato, in ogni modo possibile. Certo, al giorno d’oggi si fa tanto citazionismo di style e color palette di epoche passate. L’industria fotografica oltretutto propone con marketing alquanto aggressivo l’ennesima corsa ad aumentare i megapixel dei sensori, nuovi sistemi di messa a fuoco automatica più veloci ed efficienti. Si introduce perfino l’Intelligenza Artificiale, sia per aiutare l’autofocus nei corpi macchina, che per l’editing delle foto nei programmi di sviluppo fotografico. Il Medio Formato digitale non è mai stato tanto economico.

Non so dire per altri settori fotografici, ma per il Ritratto è altamente consigliabile non fare troppo affidamento su queste novità, e – in generale – sugli aspetti più tecnici della Fotografia. Restando inamovibile il fatto che a supporto di registrazione immagine più grande (pellicola o sensore) può dare maggiore qualità d’immagine, resta veritiero il motto per cui: “il perfetto è nemico del buono”.

photo by Nicolas Thomas on unsplash.com

photo by Nicolas Thomas on unsplash.com

Dopotutto, come mai il nuovo calendario Pirelli è stato affidato a un Paolo Roversi che scatta a pellicola con macchine di Largo Formato, con focus manuale, un frame ogni ‘n’ minuti e possibilmente usando luci continue? Perché, ancora, sulle riviste di Moda compaiono editorial e campagne di Brand con presenti foto sfocate, granulose, mosse e/o per altra via tecnicamente “sbagliate”?

Se volete, si tratta anche di una questione di “scarsità contro abbondanza”: se bastasse comperare la migliore macchina fotografica con i migliori obiettivi e accessori, sarebbero in tanti – troppi – e ancora insufficiente sarebbe la scrematura se agenzie, riviste e brand si accontentassero solo di alta risoluzione e correttezza formale delle immagini. Comunque, i professionisti del Ritratto Moda sarebbero troppi, e quel punto quanti di questi verrebbero pagati? La quantità di budget per promuovere con la Fotografia brand di vestiti, accessori, cosmetici, è tutto sommato abbastanza stabile nel tempo, se aumentassero di numero i fotografi quindi…

Inoltre, i costruttori di macchine fotografiche e di programmi di foto ritocco hanno cominciato a tirare fuori, in alcune applicazioni ben definite, l’Intelligenza Artificiale. Ciò mi porta a domandarmi: a quando la sostituzione dei fotografi con dei sistemi completamente automatizzati? Telecamere che scattano foto già ne esistono, la tecnologia per ottenere simili diavolerie potrà anche non essere attuale, ma temo non sia distantissima.

Se questa tragedia dovesse cominciare, comunque, affliggerà prima i professionisti che devono catturare delle realtà: foto da competizioni sportive, foto giornalistiche, forse anche eventi e cerimonie. I generi a maggior tasso creativo, quale appunto il Ritratto e il Ritratto Moda, dovrebbero cominciare a risentirne più avanti, semmai dovesse accadere.

photo by Kenny Luo on unsplash.com

photo by Kenny Luo on unsplash.com

Dopotutto, una buona foto va oltre al semplice dettaglio, una illuminazione e composizione appena buone. Nella creazione di un ritratto spettacolare, entrano in gioco anche altri elementi quali la psicologia dei colori, le trame, la capacità di evocare emozioni. Non dimentichiamo, ovviamente, il ruolo, la partecipazione e connessione fra Fotografo e Modella.

Insomma, una buona foto è una stratificazione di tecniche, concetti, intenti e soprattutto lo è in quanto è un deliberato atto del Fotografo, non un caso o un colpo di fortuna. Deve essere replicabile, almeno con un buon grado di approssimazione date le possibili differenti condizioni ambientali di scatto.

Jupiter 9 85mm F2 BW, photo by Francesco Coppola

Jupiter 9 85mm F2 BW, photo by Francesco Coppola

Quanto sopra scritto è detto in generale, anche se incentrato sulla Ritrattistica e la Ritrattistica di Moda, quanto personalmente mi prefiggo per la prossima stagione di scatti che ho già iniziato a pianificare è: Affermare, con scatti che farò, che non esiste distinzione fra buona e cattiva Luce. La Luce è Luce, sempre. M’impegnerò ad abbracciare alcuni elementi d’immagine solitamente additati come difetti: ombre – anche nette se lo riterrò necessario – e rumore. M’impegno ancora a dare più strati di lettura ai miei ritratti. Composizione, colori, Luce e Ombre, sfumature e trame. Per questo, credo, pre-visualizzerò le foto in Bianco e Nero – fra le altre cose. Sperimenterò tecniche di scatto per composit, anche. Compatibilmente con la disponibilità delle mie collaboratrici, sono anche disponibile a scattare in interni, con luce filtrata, o in qualsiasi altro modo scarsa.

Poi, certo, ho ora il compito di trovare una nuova musa per completare l’editorial autobiografico iniziato lo scorso dicembre. Non è compito facile, ma neanche impossibile. Vedremo.

T-Max 400 BW, photo by Francesco Coppola

T-Max 400 BW, photo by Francesco Coppola

Non ho affatto rinunziato a scattare ritratto (e altro) in analogico e di sperimentare anche con quello. Mi rendo però conto che, a meno non riesca a trovare un lavoro pagante, non posso disperdere le mie già scarse risposte in troppi progetti. Oltretutto, il workshop che avrei dovuto fare questo mese e che è finito rinviato al prossimo autunno è fondamentale per i miei piani in analogico. Quindi, al momento, questo piano andrà in stand by.

Le idee da sperimentare e i piani per la prossima battagliera stagione di ritratti è a buon punto, perciò – o lettore – resta sintonizzato che da giugno in poi, ne vedrai di nuovo delle belle!

Ad Majora!

Inciampi e trappoloni lungo il cammino di un apprendista fotografo (Panoramiche #7)

Non sono certo di sapere cosa si pensi del percorso che fa una persona che pratica la Fotografia, di uno che si sta costruendo il Portfolio, puntando a fare di questa passione una carriera. Di certo, qui, in questo sito generalmente si trasmette la passione e la bellezza che si riesce a cogliere in giro, l’entusiasmo per un nuovo corso, o per un nuovo set con modella in TF, e se arrivasse un bel lavoro anche quello passerebbe di qui, tutto lampi di aspettativa e di voglia di fare.

Looking forward - a self portrait; ph: Francesco Coppola

Looking forward - a self portrait; ph: Francesco Coppola

Ma il workshop fotografico che avrei dovuto fare questo fine settimana è stato rinviato a ottobre, a causa di mancanza di un numero sufficiente di iscritti.

La collaborazione con una delle ragazze con la quale ho scattato meglio e più spesso - a quanto pare - non potrà proseguire. La Visione che le chiedevo di interpretare per completare un progetto iniziato era troppo, e poi lei non è una modella dopotutto e ha una relazione da difendere. Lasciandomi orfano di un’importante musa.

Una proposta che mi era stata fatta di fotografare una festa di compleanno, per una più che degna paga, è finita destinata ad altri - che hanno fatto il lavoro gratis.

qualcun altro s’è sentito proporre di scattare un altro concerto di quattro ore per cinquanta, miseri, euro. Una paga che dovrebbe far vergogna al titolare del locale che l’ha proposta.

E dai corsi e workshop già fatti, già so che capita anche ai professionisti paganti che le modelle di agenzia non si presentino.

Una strana forma d’arte è quella fotografica, ha recentemente affermato il fotografo youtuber Dave McKeegan: quando si guarda un bel quadro tendenzialmente si pensa che il pittore sia bravo, abbia talento. Quando si vede una foto che colpisce l’attenzione, mediamente, si tende a pensare che il fotografo ha un’ottima macchina fotografica.

Posso personalmente testimoniare che vi sono annunci di lavoro per fotografi che pretendono di selezionare i candidati in base al tipo di macchina fotografica di cui sono dotati.

Qualche volta ci si trova a percepire che, senza un lavoro (almeno, uno degno di essere chiamato tale), dotati di scarse risorse e di tutta la necessità di completare quanto prima la fase della costruzione del Portfolio, non importa quanto sei appassionato, serio, professionale, bene intenzionato e con balbettii di - forse (si spera) - una iniziale Visione -, comunque non è ancora la volta buona. Comunque non si è presi sul serio. Comunque ti si chiederà ancora di attendere. Comunque non sarei mai abbastanza.

Sorge così una semplice consapevolezza:

Mistrusted BW, ph: Francesco Coppola

Mistrusted BW, ph: Francesco Coppola

In un percorso fotografico fare programmi è bene, farvi affidamento, no.

Incontrare persone è bene, farvi affidamento, no.

Maturare una propria visione è sacrosanto, aspettarsi che venga compresa e accettata, no.

Avvertire disappunto è normale, arrendersi, no.

Dopotutto che soddisfazione ci sarebbe se le vittorie fossero facili ?

Quanto c'è più gusto a trionfare dopo otto (oppure ottantotto) porte sbattute in faccia, invece?

Bisogna solo guardare avanti, preparare nuovi piani, fare nuovi programmi, prepararsi a incontrare nuove persone. 

La Fotografia, come ho sempre detto in questo sito, è un luogo ove tutto è possibile,

Solo che qui niente è facile.

E va anche bene così.

Nuovi appuntamenti sono già stati messi in calendario, nuove idee sono pronte per venire sperimentate, la Luce verrà di nuovo catturata, la Bellezza esaltata, ne vedrete di nuovo delle belle, questo è certo!

Ad Majora!

Del successo delle Mirrorless fra marketing e realtà (Panoramiche #6)

Introduzione

In questa primavera 2019 siamo da poco passati dal lancio dei primi corpi macchina mirrorless full frame per i classici marchi Canon e Nikon i quali si vanno ad aggiungere a Fuji, Sony, Panasonic e anche Olympus che già producono da tempo unicamente mirrorless di vario formato. Questa mossa dei due marchi più noti di materiale fotografico segue il successo nel mercato fotografico più consumer e prosumer dei sistemi mirrorless, tanto che non mancano oramai i recensori sul web che le consigliano a scapito delle Reflex, definite “vecchie”.

A sentire parlare costoro, saremmo a breve distanza di tempo dalla fine della produzione delle Reflex, dal che ne fanno seguire il corollario per cui: se investi soldi e tempo in un sistema di corpo macchina, obiettivi e accessori, meglio farlo in un sistema che produce la migliore innovazione tecnologica, promettendo così di durare nel tempo.

A mio modesto avviso, di persona costituzionalmente ostile al marketing: queste sono balle, ma è tempo ora di andare chiarire di cosa si parla nel concreto.

Ciro-Flex Type E, fronte - photo by Francesco Coppola

Ciro-Flex Type E, fronte - photo by Francesco Coppola

Cos’è una Mirrorless e in cosa si differenzia da una Reflex?

Dai primi dagherrotipi alla Fotografia digitale odierna l’evoluzione dei corpi macchina ha seguito due binari principali, quali il tipo di supporto che registra l’immagine e il metodo di messa a fuoco, elementi che solitamente hanno determinato anche la forma stessa delle macchine fotografiche e la loro maggiore o minore velocità d’uso.

Le mirrorless si pongono in questo percorso quali ultima evoluzione del metodo di messa a fuoco, avendo tolto il sistema di specchi che nelle Reflex portavano l’immagine – per come inquadrata dall’obbiettivo – al mirino del fotografo. Inoltre, le mirrorless hanno il sistema di messa a fuoco direttamente sul sensore al posto di un motore separato come nelle Reflex, elemento per il quale le reflex hanno mantenuto, sino a circa un paio di anni fa, una superiorità nell’efficacia di questa caratteristica. Con la maturazione tecnologica avvenuta nelle mirrorless però, ora il vantaggio è di queste ultime, con punti di messa a fuoco distribuiti sull’intera superficie dell’inquadratura e con un rateo di scatto che può arrivare sino ai 30 scatti al secondo. Per loro natura costruttiva, in effetti le Reflex tendono ad avere i punti di messa a fuoco concentrati al centro, e neanche la più veloce di queste riesce a toccare i 20 scatti al secondo.

Inoltre, le mirrorless usano spesso un mirino elettronico, molto apprezzato in quanto nei modelli migliori questo mirino riesce ad anticipare – prima dello scatto – quale esposizione avrà la foto, anche in condizione di luce estrema, cosa che i mirini ottici delle macchine Reflex non fanno. Mirino elettronico significa però macchina fotografica condannata a consumare sempre e comunque più di una reflex e questo in alcuni ambiti professionali non è esattamente un pregio.

Originariamente, poi, debuttando con corpi macchina dai sensori micro 4/3 e apsc (più piccoli del Pieno Formato, Full Frame che si voglia dire, sino a 2 volte) i sistemi mirrorless promettevano di essere più piccoli, leggeri ed economici. L’equazione che si faceva allora era: venendo meno il sistema a specchi, i corpi macchina risparmiano in peso e spazio, si possono costruire quindi macchine fotografiche più piccole e anche gli obiettivi possono parimenti occupare meno spazio, quindi (relata fero) costare di meno.

Il guaio di quelle promesse è che non tenevano in conto dell’altro fattore determinante per l’evoluzione fotografica: il supporto di registrazione immagine, che nel mondo digitale è il sensore.

Fintanto, quindi, che i sistemi mirrorless hanno adottato sensori di misure più piccole del Pieno Formato, quelle promesse potevano anche mantenersi. Però,

1. Uno dei mutamenti nel mondo degli obiettivi che è invalso contemporaneamente alla crescente fama delle mirrorless, è la costruzione di obiettivi sempre più complessi, grandi e pesanti, soprattutto a partire dalla Global Vision di Sigma, la cui serie “Art” ha trascinato la produzione degli obiettivi verso l’elefantiasi. Montare un obiettivo “Art” su una macchina Micro 4/3 implicava mandare al pascolo la praticità d’uso, l’ergonomia e il risparmio in peso.

2. I sensori micro 4/3 e apsc, purtroppo, non hanno le medesime caratteristiche di tridimensionalità d’immagine, resistenza agli alti ISO e stacco del soggetto, di quelli al Pieno Formato (a meno di non spendere altri – non pochi – soldi per acquistare particolari adattatori che comunque comportavano aumento di peso e dimensioni). Inoltre, la quantità di Megapixel, la quale determina la quantità di dettaglio presente nell’immagine, in un sensore piccolo è limitata (solo per un particolare sensore Samsung si è arrivati ai 28, mentre su Full Frame si è arrivati anche a 50).

3. Tutte queste previsioni iniziali presumevano il fatto che i produttori di Reflex se ne stessero fermi a subire l’assalto delle mirrorless, senza inventarsi qualcosa di nuovo. Quando, infatti, la Canon ha lanciato nel 2014 la EOS 100D (Sl1), questa piccoletta pesava e misurava anche meno di molte sue concorrenti mirrorless. Quando Pentax ha presentato la sua K70 nel 2016, ha consegnato al mercato consumer un corpo macchina abbastanza economico, ma della medesima robustezza e resistenza alle intemperie delle sue precedenti sorelle dello stesso marchio, e con un fattore di peso e dimensione paragonabili, per esempio, a una Panasonic GH5 – che è pur sempre una mirrorless con un sensore ancora più piccolo della Pentax.

Sempre per rimanere sul brand che conosco di più perché lo uso, cioè Pentax, caratteristiche che ora sembrano irrinunciabili e “da mirrorless”, ma che qui si usano dal 2013 almeno è il sensore stabilizzato, nonché la capacità di focus peacking (il sottolineare le aree di messa a fuoco con delle linee per indicare cosa è a fuoco). Per non parlare del doppio slot per le schede di memoria su corpi macchina non Full Frame. Pentax ha anche brevettato un nuovo modello di mirino ibrido: ottico ed elettronico, il quale potrebbe elidere quel vantaggio che ora si riconosce alle Mirrorless.

4. Gli obiettivi delle Mirrorless hanno sovente prezzi inguardabili, più alti comunque degli equivalenti per reflex. Basti guardare il listino prezzi della serie G Master della Sony, oppure i nuovi obiettivi per attacco RF di Canon, fanno paura!

Allo stato attuale, quindi, ora che i marchi che hanno cavalcato sin dall’inizio le mirrorless hanno pensato bene di offrire al pubblico corpi macchina più robusti e con migliore qualità d’immagine, ecco che le nuove mirrorless top di gamme diventano pesanti e ingombranti quanto le reflex.

Tutto ciò mi porta a pensare che piuttosto che predire la fine della produzione di corpi macchina Reflex, il settore high end dell’attrezzatura fotografica sarà sì magari popolato da prodotti mirrorless, ma coesisteranno per molti altri anni ancora dalle reflex che a quel punto diverranno l’offerta più economica (come già ora, in diversi casi, è).

Quindi, vuoi perché vi sono vecchi marchi che si sono di recente buttati a produrre corpi macchina mirrorless, vuoi perché i vecchi marchi produttori di mirrorless hanno cominciato a produrre corpi macchina di dimensioni e formato immagine più grandi, Full Frame e Medio Formato, c’è tutto un battage pubblicitario, attualmente, che giura e spergiura che la giusta scelta per il professionista sia investire in questo tipo di tecnologia. Principalmente perché sarebbero il settore della produzione di attrezzatura fotografica che mostra l’avanzamento tecnologico più intenso.

Claudio Büttler on unsplash.com

Claudio Büttler on unsplash.com

Come e quando si può parlare di un corpo macchina “professionale”

Una via generalista di definire un corpo macchina “professionale” è che esso non metta ostacoli al raggiungimento degli obiettivo del Fotografo (se fa Fotografia sportiva uno scarso sistema Autofocus o mancanza di teleobiettivi, sarebbe un ostacolo – per esempio), gli garantisca la durata dell’attrezzatura (che sia abbastanza robusta), che garantisca il suo lavoro (con la ridondanza dei dati ottenuta attraverso il doppio slot di memoria), tutto ciò insieme alla qualità d’immagine che è dovuta non solo al corpo macchina ma anche al parco lenti acquistabile.

Se volessimo approfondire, per onestà dovremmo dire che a un Fotografo di architettura e arredo interni, dell’autofocus efficiente e dell’alto rateo di scatto, non gliene potrebbe fregare minimamente. Lo stesso dicasi per il Fotografo commerciale che fa Product Photografy (alla quale si può associare anche la più recente Food Photography). Dimensioni e leggerezza delle attrezzature non sono poi un metro oggettivo e universale per valutare la qualità di un corpo macchina. I paesaggisti potrebbero avvalersene – per viaggiare più leggeri – ma questo tipo di Fotografi dovrà tenere da conto anche il fatto della qualità d’immagine: cercando l’assoluto si finisce per salire di formato, da Full Frame a Medio Formato, e allora si torna a caricare schiena e ginocchia di nuovo peso.

Non esiste, insomma, un elenco univoco di caratteristiche che possa descrivere con esattezza cosa sia un corpo macchina “professionale”. Esiste l’attrezzo utile al dato progetto da realizzare, questo sì, lo si può dire.

Non è, comunque, ascoltando unicamente le recensioni on line che un professionista dovrebbe scegliere un corpo macchina o un brand rispetto a un altro. Esiste il mezzo, a loro totale disposizione, del noleggio, anche a lungo termine.

Kobu Agency on unsplash.com

Kobu Agency on unsplash.com

Conclusioni

Liberati dal discorso sulla “professionalità” concludiamo con tutti gli altri papabili acquirenti di un tipo di macchina fotografica rispetto a un’altra. Qui i motivi per fare una scelta rispetto a un’altra possono essere i più diversi, e non tutti esattamente razionali.

Si sa, oltretutto, che a volte ci si sente bloccati con la propria creatività e si avverte la tentazione di acquistare “quella macchina nuova che mi farà fare foto migliori”.

Oso dire umilmente che in questi casi la risposta più saggia potrebbe essere non l’acquisto dell’ultima fantastica novità di un brand o un altro, ma andare a vedere un po’ di mostre, investire in libri fotografici, seguire workshop e, nel caso tutto questo non bastasse, prendetevi una Holga, o una qualsiasi altra macchina a pellicola, con pochi comandi, tutta di plastica, magari anche la lente, con un autofocus… inesistente!

Potrebbe essere proprio questo quello che vi serve. Pensateci.

E questo, per l’argomento, è quanto. Spero di essere stato capace di spargere un minimo di luce in questo confuso quadro di tanto marketing e poca sostanza tecnica.


Alla prossima!





Ad Majora!













 

 

Scegliere un pc portatile per la post-produzione fotografica con pochi soldi (Panoramiche #5)

In previsione di un prossimo workshop fotografico di due giorni, ho deciso di dotarmi di un computer portatile da affiancare alla mia vecchia e fidata workstation di casa. Vivendo in perenni ristrettezze economiche, però, mi sono dovuto preoccupare di cercare un laptop capace di lavorare con la suite per fotografi Adobe, che mi costasse meno mille euro, ma anche meno: qualcosa sugli 800. Va detto anche che, non fosse stato per il considerevole aiuto fornitomi da un mio carissimo amico, nemmeno tanto sarei riuscito a spendere.

My new laptop; ph: Francesco Coppola

My new laptop; ph: Francesco Coppola

In ogni caso, con quel limitato budget mi sono inoltrato in un esame di filiera approfondito per trarne le notizie necessarie a fare la mia scelta. Questo scremando idee su cosa serva e su quali macchine puntare, le quali non sono più al passo con l’attuale tecnologia dei programmi di sviluppo fotografico.

Ovviamente il tipo di macchina da acquistare dipende anche dal tipo di fotografia che si pratica. Rimane tuttavia vero che oramai un po’ tutti i generi fotografici necessitano di potenza di calcolo, con tutti i filtri, le anteprime immagine che vanno aggiornate in tempo reale, o le fusioni di più foto o ancora il semplice uso dell’oramai maturo sistema di “content aware” di Photoshop. Inoltre, molti programmi di fotoritocco stanno introducendo strumenti basati su intelligenza artificiale. Tutte queste novità richiedono non solo alte frequenze dei processori, ma anche l’utilizzo di più core e più thread. Passato è il periodo in cui Photoshop sfruttava solo uno o due core, e non parliamo di Lightroom, che è un database pesante da gestire.

Eight generation Force; ph: Francesco Coppola

Eight generation Force; ph: Francesco Coppola

Questo mi obbligava a cercare un prodotto recente, in quanto Intel è passata a produrre stabilmente processori a quattro core solo dall’ottava generazione, che per i dispositivi mobili è una delle più recenti (vi sarebbero anche la nona e forse pure la decima? Ma solo per processori destinati ai desktop)

La quantità di RAM (minimo 8 GB, idealmente 16) e la presenza di una scheda grafica dedicata, per quanto basica, sono un altro punto che ho dovuto tenere a mente.

Quello che, però, ho trovato in giro è la sufficienza con cui si tratta un elemento che ogni fotografo serio sa essere fondamentale: lo schermo. Sono però rimasto basito quando ho trovato moltissimi suggerimenti ad affidarmi a portatili per gaming e ho poi analizzato questo tipo di prodotto. Vero è che chi fa questo suggerimento si riferisce più al rendering video, che non alla Fotografia, ma non mi capacito comunque come si possa trascurare le qualità di fedeltà colore e calibrazione dello schermo per chi lavora nel campo dell’immagine. Infatti, quando si ha poco da spendere i produttori devono fare delle scelte e decidere su cosa risparmiare.

Tutti i laptop, di qualsiasi fascia di prezzo, sono dei compromessi: quando si valutano laptop da gaming (consigliati da molti), bisogna rendersi conto che se nelle varie macchine in commercio sono presenti processori recenti e potenti, 16 gb di RAM e una scheda grafica di medio livello, da qualche altra parte toccherà accontentarsi e lo schermo in simili sistemi è spesso l’elemento che viene sacrificato.

Invece bisogna scegliere portatili che abbiano uno schermo di tipo IPS, calibrabile, con un buon contrasto e luminosità, ma soprattutto con una copertura della gamma del colore in sRGB al 100% o quanto più vicina possibile – almeno al 95%!

Un’altra caratteristica importante per un laptop da foto-editing è la presenza di almeno un SSD, quell’unità di archiviazione più recente e veloce rispetto ai vecchi Hard Disk meccanici, di modo da installarvi sopra oltre al Sistema Operativo, anche Photoshop e Lightroom. Questo farà in modo che l’avvio del computer e dei programmi sia il più veloce possibile.

Strategie di risparmio

Per risparmiare bisogna partire in primis dalle proprie concrete esigenze. Un conto è, infatti, dovere scegliere il proprio primo e unico computer, in tal caso certo non è consigliabile risparmiare troppo. Altra cosa, però, è doversi fornire di un portatile aggiuntivo, che permetta un editing preciso ma leggero in mobilità. In questo ultimo caso si può valutare un portatile che magari parta, sulla carta, sottopotenziato: con meno RAM (ma di generazione DDR4, però) e un SSD, magari non velocissimo, che però permetta l’upgrade in un secondo momento, di modo da dilazionare la spesa.

Un mese si prende il portatile, un altro mese si prende il banco RAM da 16gb DDR4 da aggiungere. Un altro mese ancora, magari, si potrà cambiare l’SSD. Se non ne se ne possiede uno, poi, bisogna acquistare anche un colorimetro per calibrare il monitor e farsi sé che tutti gli schermi a disposizione, ma anche le stampanti, mostrino esattamente gli stessi colori.

Si può, inoltre, acquistare direttamente dal sito internet del produttore. Così facendo si possono trovare spesso sconti, come è capitato nel mio caso.

Infine, forse avrei potuto trovare qualche buona occasione sui portali di e-commerce e/o sui siti dei produttori cinesi, ma non ho le capacità per valutare i prodotti su siti di e-commerce e dei produttori cinesi.

Cosa ho preso

Alla fine di tutte queste considerazioni e dopo aver valutato le offerte in lungo e in largo, ciclicamente, per un numero sufficiente di volte, la mia scelta è caduta su un Dell Inspiron da 15” di serie 7000, segnatamente il modello 7580.

My new editing laptop; ph: Francesco Coppola

My new editing laptop; ph: Francesco Coppola

Gli Inspiron sono l’alternativa economica per i portatili della linea di punta XPS, e si suddividono in ulteriori tre fasce, di prezzo, potenza e qualità dei materiali impiegati: la 3000, la 5000 e la 7000. Vi è anche una versione gaming degli Inspiron, indicata con la lettera G, che ovviamente non era di mio interesse.

Le caratteristiche del modello che mi hanno convinto sono:

Il processore Intel I5 di 8a generazione, quad core con velocità in turbo a 3,9 ghz

8 GB di RAM DDR4 a 2666 ghz, espandibile.

Un’unità SSD da 256 GB di tipo m2 NVMe, anche questa è sostituibile o espandibile.

La scheda grafica dedicata è la Nvidia MX 150 con 2 gb di RAM dedicata DDR 5

La presenza di un lettore di schede SD

Uno schermo IPS con un buon contrasto, luminosità accettabile e una copertura della gamma colore sRGB al 97%.

Max shell aperture; ph: Francesco Coppola

Max shell aperture; ph: Francesco Coppola

Quando mi è arrivato, poi, ho avuto la piacevole sorpresa di ritrovarmi per le mani un oggetto più piccolo del previsto (a quanto pare hanno montato un 15,6” in un telaio da 14) e tutto in alluminio, la qual cosa gli offre quel quid di aria premium in più, a cui avrei anche rinunciato ma che accolgo con piacere.

Alternative migliori

Per chi ha una maggiore capacità di spesa, magari lavora e ha una busta paga con cui permettersi una rateizzazione (a me preclusa dalla mia disoccupazione), la scelta è ampia. Eviterei – per forma mentis personale – giusto i marchi premium, che in questi anni purtroppo stanno privilegiando il design alla potenza e all’aggiornamento degli elementi interni.

SD card reader, Halleluyah! ph: Francesco Coppola

SD card reader, Halleluyah! ph: Francesco Coppola

Voglio dire, quando ti sparano cifre iperboliche per darti un vecchio processore dual core, 4gb di RAM e magari solo una scheda grafica integrata, mi interessa pochissimo dello stile e della qualità dei materiali della scocca. Poi, magari, come porte mettono a disposizione solo USB 3.1 o thunderbolt e costringono a comperare un lettore di schede SD esterno.

Bah! Vade retro!

Per il resto, sono diversi i marchi che possono offrire tutto l’occorrente. Sono sempre molto democratico con i marchi di tecnologia. Forniti principi di ricerca, ognuno sarà in grado di valutare e scegliere da sé.

Sperando di averti offerto informazioni utili, o lettore mio, ti saluto e ti rinvio alla prossima panoramica.

Ne vedremo delle belle!


Ad Majora!































Favolistica e realtà sulla Color Science (Panoramiche 4c)

Riassunto delle puntate precedenti

Il mondo della Fotografia amatoriale, da quando è divenuto “democratico”, ha imbarcato al suo interno moltitudini di neofiti, pieni di entusiasmo, ma anche di facili preconcetti che hanno nel tempo innescato varie guerre di religione termonucleari su brand fotografici, tecniche, modi di scattare e soggetti da ritrarre. Assolutismi in un ramo dell’umana creatività assai duttile in cui, per dirla come Ansel Adams: “Non ci sono regole per fare buone fotografie. Ci sono solo le buone fotografie”[1].

Nelle precedenti sezioni del presente articolo abbiamo già parlato della completa falsità di certi pregiudizi sulla post produzione delle foto, mostrando che non è con l’avvento del Digitale che si modificano gli scatti, anzi, limitatamente alle tecnologie e tecniche a disposizione, la post produzione si è sempre fatta.

Un altro argomento su cui si è sempre dibattuto in modo spesso troppo teologico, è quello della lotta fra fautori del formato Jpeg, contro quelli che usano il RAW. Qui abbiamo già individuato che la stupidità risiede negli opposti assolutismi.

Fra queste argomentazioni c’è quella qui esposta e con la quale chiudo la mia lunga trattazione su questo tema. Iniziamo quindi ad addentrarci nella favolistica dimensione della Color Science.

Zeiss Tessar 50mm f 2,8 Jena Bokeh Balls, by Francesco Coppola

Zeiss Tessar 50mm f 2,8 Jena Bokeh Balls, by Francesco Coppola

In cosa consiste la diceria: l’espressione Color Science, nel parlare entusiasta ma non tanto informato, indicherebbe la qualità dei colori che proverrebbero dai corpi macchina di una data marca. I fan (utilizzatori) di Canon e di Fuji e Leica sono fra quelli che più ne fanno riferimento con alcune piccole differenze fra loro: nel caso dei canonisti, chi fra loro cade in questo errore, tende a pensare e dire che scattando con una Canon si possono avere sin da subito file con una maggiore (migliore) saturazione dei rossi, e quindi una migliore resa dei toni della pelle. I fan di Fuji vanno matti invece per i “picture profiles” (profili immagine) che imitano le qualità cromatiche prodotte dalle pellicole da sempre fabbricate da Fujifilm. Già questa seconda affermazione pone maggiori problemi in quanto non si riferirebbe tanto a una caratteristica hardware, ma software. Si sa, inoltre, che uno degli elementi che contraddistingue l’esclusivo marchio Leica è un certo carattere e saturazione delle tonalità del rosso.

Ph: Anthony Tran on unsplash.com

Ph: Anthony Tran on unsplash.com

Il nocciolo di verità: Non sono un tecnico, né un fisico, dovrò quindi semplificare la mia trattazione al massimo.

Le dominanti di colore riscontrabili su una foto digitale non dipendono unicamente dal sensore della macchina fotografica con cui è stata scattata. A giocare un ruolo vi sono anche il processore d’immagine e il software deputato alla compressione dei dati raccolti per la creazione di un’immagine in formato .Jpeg, ma in misura ancora maggiore, i colori dipendono dagli obiettivi che si montano sulla macchina. Infine, con tutti i programmi di post produzione è possibile giocare con i colori in qualsiasi modo si voglia – a patto di saperlo fare. Una tendenziale dominante di colore, positiva o negativa, in un’immagine registrata in formato RAW, poi, si corregge in neanche un minuto di lavoro

Questo cosa vuol dire, in sintesi? Alcune cose.

Primo, se pure sia vero che alcuni brand di macchine fotografiche hanno una dominante di colore principale nelle immagini che producono, questo vantaggio fa risparmiare davvero poco, in termini di tempo e di fatica ad apprendere come trattare i colori in fase di post produzione. Le qualità di un corpo macchina, del suo ecosistema di obiettivi e accessori, va ben oltre a questo unico elemento.

Secondo, dietro all’entusiasmo per una caratteristica così minimale della qualità d’immagine rischia di annidarsi la ben documentata pigrizia di chi non vorrebbe mai affrontare i programmi di post produzione e scatterebbe sempre in Jpeg, semplicemente perché gli viene a noia stare davanti al pc a sviluppare foto.

Terzo, posto che ognuno è libero di fotografare come gli pare e piace, bisogna avvertire che se si hanno speranze e/o ambizioni di diventare professionisti di un qualsiasi genere fotografico pagante, questo approccio è quantomai diseducativo: apprendere a post produrre (su Photoshop oppure Capture One, ma idealmente bisognerebbe conoscere entrambi) è in questo caso sempre indicato, tanto che non ci si dovrebbe fermare al digitale e sarebbe anche consigliabile prendere mano con una Camera Oscura e apprendere i principi di sviluppo con agenti chimici.

Eccezioni, siamo nel mondo della Fotografia, quindi c’è quasi sempre un’eccezione da tenere a mente. Quando si studia la post produzione delle immagini digitali, infatti, si apprende che esistono delle operazioni (quali la regolazione dell’esposizione, in parte del contrasto, la pulizia di alcuni dettagli, come la pelle per i ritratti) definite in inglese lossless, cioè che non comportano perdita di dati (e quindi qualità d’immagine). Altre operazioni, invece, sono definite “lossy”, le quali quindi comportano una qualche variabile perdita di qualità d’immagine, fra queste ultime sta proprio il color grading.

ph: Flaunter.com (@flaunter) from unsplash.com

ph: Flaunter.com (@flaunter) from unsplash.com

Per questo motivo, professionisti affermati di alcuni generi fotografici, come il Ritratto di Moda high end, puntando su una qualità d’immagine assoluta (dovuta anche alla stampa su grandi superfici) mirano a post produrre il minimo. Essi quindi optano per la costruzione di un set ove ogni elemento di luce, trucco, hair styling outfit, props, eccetera, esca esattamente come l’hanno voluto loro in fase di scatto, invece di affrontare lunghe sessioni di post produzione al computer.

Ciò che si risparmia, in sforzo e tempo impiegato, in post produzione – però – lo si impiega in fase di scatto, e anzi, si deve anche coinvolgere una crew e impiegare tutta un’attrezzatura, tanto, più costosa. Post produrre, alla fine della fiera, è più economico.

Stiamo qui parlando, in ogni caso, di maestri della Fotografia, i quali operano da anni in un genere, sanno cosa fanno e cosa vogliono. Un apprendista, invece, queste cose – mediamente – non le sa, né ha i mezzi per imbastire set complessi.

In conclusione: dato che fare il Fotografo implica incamminarsi in un lungo processo di apprendimento, e che la post produzione è solo una delle cose da imparare fra le tante altre, quel che dovrebbe esibire un neofita di questa Arte dovrebbe essere curiosità e desiderio di imparare sempre nuove cose . Il processo d’apprendimento fotografico in sé dovrebbe essere la “droga” di chi studia e pratica la Fotografia.

A serious large format self portrait BW

A serious large format self portrait BW

E con questo chiudo il trittico di argomentazioni sulla post produzione in digitale delle fotografie. Sperando di avere fornito una lettura piacevole, ti rinvio ai prossimi argomenti delle mie panoramiche.

A presto e

Ad Majora!






[1] E.T. Schoch (2002), The Everything Digital Photography Book (2002), p. 105 - Attributed to Adams: “There are no rules for good photographs, there are only good photographs”.

Sviluppo fotografico, .Jpeg contro .RAW (Panoramiche 4b)

Riassunto della puntata precedente

Impegnato come sono nello sviluppo di tre model shooting e di un matrimonio ho iniziato, la settimana scorsa, a parlare di post produzione delle foto e di certa mitologia che circonda questa fondamentale parte del processo fotografico. Ciò perché, provenendo dal vasto mondo della fotografia amatoriale, sia di persona che sul web ho sentito pronunciare – con teologica convinzione – opinioni alquanto immotivate e irrazionali in merito e mi diverte esporne la fallacia.

Abbiamo visto come, infatti, si post produceva anche ai tempi della Fotografia analogica, in Camera Oscura e come qualcuno che troppo spesso viene indicato come “esempio di Fotografia (vera) senza artifici” è quell’Ansel Adams, che in realtà fu anche un maestro della post produzione in Camera Oscura, autore di libri di tecnica di sviluppo e del Sistema Zonale, a cui sono debitori anche i moderni programmi di post digitale.

Correlato a questo tema, viene anche l’altra divertente (antropologicamente parlando) diatriba, fonte di guerre d’opinione termonucleari nel fandom fotografico mondiale, vale a dire l’uso di registrare le immagini in formato .Jpeg o .RAW, da fare sempre, comunque, qualsiasi sia il genere praticato e la committenza.

I formati di registrazione e condivisione delle immagini, cosa sono e a cosa servono.

Personal gear, photo by Francesco Coppola

Personal gear, photo by Francesco Coppola

Qualche accenno, intanto, per definire di cosa stiamo parlando, va dato. JPEG è un acronimo che indica un formato di registrazione dell’immagine catturata dal sensore della stessa e poi archiviata nella scheda di memoria. Viene definito come “lossy”, cioè trattasi di un tipo di un formato di immagine compresso che perde una certa quantità di informazioni raccolte del sensore, poiché il suo maggior fine è essere di dimensioni ridotte e facile da trasmettere da device a device. Lossy, però, indica anche il fatto che ogni volta che si apre questo tipo di file su un programma di editing fotografico, si perdono altri dati e quindi qualità d’immagine.

Per veloci aggiustamenti di esposizione, contratto e bilanciamento del bianco – cose che si fanno in pochi minuti e in un sol colpo – la perdita non è granché percepibile, ma dopotutto il tutto dipende da quale è piattaforma di destinazione dell’immagine. Se resta a schermo, magari in quello di uno smartphone, la perdita di qualità non si nota tanto. Peccato che le immagini che restano nelle memorie di computer e smartphone non sono neanche considerabili vere e proprie Fotografia.

Una Fotografia è un oggetto fisico, stampato, tangibile. Le fotografie vanno stampate.

Quando si va a stampare un ipotetico jpeg che è stato modificato in più riprese, mostra tutti i suoi limiti. Per averne riscontro basta anche solo usare i filtri di Istagram su uno scatto registrato in jpeg, aggiungere “Struttura”, “Contrasto”, aggiustamento di Alte Luci e Ombre e il tocco di “Nitidezza” finale, e notare la differenza che c’è guardando il risultato ottenuto dallo schermo dello smartphone, contro l’effetto che fa a vedere lo stesso scatto dal monitor del computer, un 24, 27 o 32 pollici che sia.

Inoltre, anche l’immagine che mostra la macchina fotografica sullo schermo dietro la macchina, è un jpeg.

Senza scendere in dettagli che diventerebbero troppo tecnici, poi, non tutti i Jpeg sono uguali: ogni brand fotografico ha il suo e anche quando si sceglie di impostare la macchina per fornire jpeg “neutri” o “naturali”, esiste sempre una data quantità di nitidezza, contrasto, saturazione dei colori che è stata decisa dal gruppo di ingegneri nipponici per il loro stile di jpeg. Di questo argomento, però, tratterò più estesamente nell’ultima parte di questo articolo, la settimana prossima.

RAW, dall’inglese, è un tipo di formato immagine “crudo”, vale a dire che mantiene tutte le informazioni raccolte dal sensore al momento dello scatto, ed è lossless, vale a dire non perde dati, anche quando si apre e si modifica l’immagine ripetute volte (almeno, fino a quando non si comincia a modificarne i colori). Aprendo un file RAW su un programma di sviluppo immagine non appare quasi mai molto attraente, e questo per tutte le informazioni in più che sono registrate nel file. Questo vuol dire solo che questo tipo di file è fatto per permettere la piena libertà di scegliere quale stile l’immagine avrà a fine sviluppo, permette inoltre di salvare l’immagine nel formato TIF, che è, o era sino all’altro ieri, il formato preferito dagli stampatori, cosa che non approfondisco per non mettere troppa carne sul fuoco.

Il RAW viene chiamato anche “negativo digitale”, questo proprio per la sua proprietà di permettere uno sviluppo fine, preciso, esteso o settoriale per arrivare – a fine sviluppo – all’immagine che aveva in mente il fotografo al momento dello scatto.

Scattare sempre in .RAW o sempre .Jpeg, perché gli assolutismi entrambi errati

Wrong way by NeONBRAND on unsplash.com

Alla fin fine su questo argomento vale il vecchio motto latino Virtus in medio stat: non c’è alcun motivo di mettere sul piedistallo, o demonizzare, uno strumento rispetto a un altro, essi hanno entrambi una loro specifica funzione adatta a vari contesti.

Dire che si preferisce scattare in jpeg, può magari sottendere alla paura di affrontare la fase di editing, stare tante ore davanti al computer invece che sul set, o sul campo, a scattare. Tanto legittima è questa paura che ci sono fotografi professionisti che esternalizzano la fase di editing degli scatti ad altri, oppure – mirando anche al massimo della qualità immagine – il professionista sta ore sul set a creare la luce, il colore, la composizione perfetti, con gli “effetti speciali” inclusi in fase di scatto, di modo da non dover impiegare che pochi minuti in fase di editing.

Inoltre, alcune assegnazioni professionali – pagate – richiedono per forza di cose lo scatto in jpeg. Pensiamo alla Fotografia sportiva: quando la rivista o l’agenzia stampa pretende di avere gli scatti della partita la sera stessa dell’evento. O ancora, quando si fotografano sfilate di moda per agenzie e queste hanno l’esigenza di mostrare gli scatti della sfilata quasi in tempo reale sul proprio sito web, allora ecco che la “comanda” è quella di scattare almeno in Raw+Jpeg e praticamente consegnare la scheda di memoria alla sala stampa una volta di ritorno dalla sfilata.

La pigrizia, però, non è accettabile, in Fotografia come in ogni altro ramo dell’umana creatività. L’utente finale vuole percepire (anche a livello subliminale) che il prodotto creativo è frutto di sudore e sangue. Uscire fuori dalla propria comfort zone, approcciare nuovi stili, tecniche, generi fotografici è il cuore pulsante della pratica fotografica.

Autoritratto in Largo Formato analogico sviluppato e stampato in Camera Oscura

Autoritratto in Largo Formato analogico sviluppato e stampato in Camera Oscura

Il RAW è un formato che va saputo sviluppare e portare allo stadio di stampabilità, o comunque di condivisione, è ciò che si pretende si sappia fare in moltissime altre specifiche branche della Fotografia professionale, e soprattutto per un neofita che ambisce a diventare un professionista, imparare a sviluppare egregiamente (non basta più saperlo fare solo “bene”, purtroppo - tanta è la concorrenza) i propri scatti è quanto più di indicato ci sia. Magari anche imparare, con dei corsi, a fare anche post produzione in Camera Oscura.

Cari miei, con questi chiari di luna la raccomandazione è una: distinguetevi!

Dopotutto, se davvero avete passione per questa arte della Fotografia, perché temere la post produzione? Dovreste imparare ad amarla, a divertirvici addirittura. A me, personalmente, può risultare addirittura rilassante.

Soprattutto quando affronto l’editing dei ritratti che faccio, e vedo che lo scatto ha potenzialità da entrare nel mio costituendo portfolio, ho addirittura il desiderio di usare quella tecnica di sviluppo, o un’altra, o anche di cercarmene una nuova, per dargli quel look che l’aiuti a bucare lo schermo.

E questo è quanto possa dire su questo argomento, sino a ora. L’appuntamento è con la chiusura di questo lunghissimo articolo per la prossima settimana.

Spero ti sia divertito e abbia trovato ispirante questo mio piccolo divertissement e

A presto!

Ad Majora!

Sviluppo digitale contro sviluppo analogico (Panoramiche #4)

Comincio qui una mia dissertazione personale in tre parti sul rapporto fra Fotografia analogica e Fotografia digitale. Le tre parti saranno: 1, che male vi ha fatto Photoshop?; 2, Jpeg vs RAW; 3, Il sofismo della “Color Science”.

Premessa

Con le recenti sessioni di scatto effettuate mi trovo attualmente alle prese con lo sviluppo di un bel numero di scatti. Inoltre, non è da molto che ho ultimato il secondo modulo del corso di Fotografia Analogica e ho passato alcune ore in camera oscura, alle prese con vari chimici, fissatori e compagnia cantante. Occasione perfetta per affrontare il discorso sviluppo foto in digitale e in camera oscura (o chimico).

Trovo l’argomento “sviluppo fotografico” divertente da trattare, perché avendo solcato i vasti mari della Fotografia amatoriale, ne ho visto in azione diverse delle sue tempeste di dogmatiche opinioni su vari aspetti di questa Arte. Naturalmente sullo sviluppo digitale e il suo programma più famoso, vale a dire Adobe Photoshop, s’è detto di tutto e il suo contrario.

1 - Che male ti ha mai fatto Photoshop?

Dreaming - photo by Francesco Coppola

Dreaming - photo by Francesco Coppola

Sia chiaro che esistono anche altri programmi di ritocco fotografico a computer. Ho utilizzato il nome di un prodotto ben specifico per indicare l’intero panorama non solo dei programmi per lo sviluppo fotografico digitale, ma anche l’attività stessa di usarli, così come è entrato nell’uso comune fra chi discute di questa attività. Fra l’altro Adobe Photoshop è più una piattaforma di elaborazione grafica, che un programma di solo sviluppo fotografico. La Grafica infatti è un campo molto più vasto e complesso - nella sua elaborazione a computer - rispetto allo sviluppo fotografico. Per intenderci: una volta, tanto tempo fa, fui assunto da un’azienda che produceva siti internet per aziende perché avevo messo fra le mie skill tecniche “uso Photoshop fotografico” e mi avevano messo a svolgere mansioni che richiedevano anche competenze grafiche. Furono i giorni peggiori della mia recente vita. Anche solo imparare a fare un logo letterale mi costò una nottata insonne, perso dietro a tutorial on line.

Premesso quanto sopra, c’è chi riduce tutto quel che si fa e si può fare a computer con le immagini, a quegli esempi di cattivo uso di High Dinamic Range (HDR), Contrasti sparati, Cieli assurdi con forti aloni intorno alle superfici confinanti col cielo nei paesaggi, occhi da alieno nei ritratti di modelle, lune gigantesche poste troppo vicino a montagne, e tutto il nutrito compendio di orrori che la “Fotografia Democratica” (vale a dire quella che la tecnologia ha reso accessibili a una massa di persone) ci ha sbattuto contro il muso. Davanti a tutto questo mal uso dei mezzi tecnici che il digitale mette a disposizione, certo, si tende a mitizzare l’era in cui si scattava a pellicola, anche perché allora la Fotografia era un’arte senza ombra di dubbio più elitaria. L’immagine fotografata circolava di meno e sapeva sicuramente meravigliare più facilmente di quanto non accada oggi.

Succede, però, che questo mito dei tempi passati faccia più di un passo oltre il confine del documentato e lecito e cominci a spararle grosse. Così grosse da travisare del tutto la realtà dei fatti.

C’è chi, infatti, da un manto di “sincerità”, “immediatezza” o “naturalezza” che, francamente parlando, la Fotografia non ha mai avuto. Forse, durante l’ubriacatura positivista del primo dopoguerra, l’occhio della macchina fotografica poteva anche essere scambiato per quello della “verità”. Gli anni ‘60, però, li abbiamo superati da un pezzo, suggerisco di crescere e ammodernarsi anche a chi crede a queste svenevolezze.

Nel caso vi stiate irritando col qui scrivente, abbiate la pazienza di attendere che vi mostri un paio di fattarelli, semplici, semplici, come a volte le cose legate alla Luce possono essere. Cominciamo a guardare questo articolo di una nota testata giornalistica, tanto per cominciare ad approcciare il fatto che il ritocco fotografico si è sempre fatto, è sempre stato tecnicamente possibile - sia in fase di sviluppo che anche dopo, sulla foto stessa. Pensiamo, inoltre, alle vecchie foto dei soldati di trincea della Prima Guerra Mondiale, quando si aggiungeva a china qualche tratto per contrastare di più occhi e altri lineamenti del volto, per poi andare alle falsificazioni dettate dagli uffici di propaganda politica, sino alla scoperta “scandalosa”, che certo fotogiornalismo (quella branca dell’Arte che più si è calata nel vanto del ritrarre il “vero”), anche di denuncia, penso per esempio al caso di Eugene W. Smith, il quale faceva posare i suoi soggetti per fotografie che non erano affatto istantanee provenienti dal tessuto sussultante di dolore di qualche, più o meno esotica, realtà.

Ansel Adams, The Negative, snapshot by Francesco Coppola

Ansel Adams, The Negative, snapshot by Francesco Coppola

Non dovessi avervi ancora convinto, non mi resta che citare lui: Ansel Adams, secondo qualche stordito un esempio di "Fotografia senza ritocchi” e perciò stesso “veritiera”. Costui che è il padre del fotoritocco, del Sistema a Zone e autore di diversi libri di tecnica fotografica, scrive a inizio del suo secondo volume – The Negative – le seguenti parole:

Per una stampa fotografica è impossibile replicare la gamma di luminosità della gran parte dei soggetti, e per questo le fotografie sono, in qualche misura, un’interpretazione del soggetto originario.

Gran parte della creatività nella fotografia sta nella gran varietà di scelte che un fotografo ha fra una rappresentazione quasi letterale del soggetto e una libera interpretazione che si allontana dalla realtà dello stesso. Il mio lavoro, per esempio, viene spesso definito “realistico”, quando in realtà la relazione fra i valori di luminanza nelle mie foto sono alquanto lontani dalla rappresentazione letterale dei soggetti.

Io uso numerosi strumenti fotografici per creare un’immagine che rappresenti ‘l’equivalente di ciò che ho visto e provato’, per parafrasare una frase che ho sentito molte volte pronunciare dal fotografo Alfred Stieglitz – il grande fotografo di inizio Novecento.

E ancora

Nella fotografia in Bianco e Nero registriamo un soggetto tridimensionale in (un’immagine) bidimensionale e in scala di grigi. Abbiamo una considerevole libertà per alterare i valori (di luminanza) attraverso il controllo dell’esposizione e lo sviluppo, l’utilizzo di filtri, e altro.

(The Negative – Ansel Adams, 1949. Traduzione mia dall’inglese)

Contrariamente da quanto creduto da certuni, quindi, postprodurre le foto è un’attività di lunga, nobile e professionale storia. Fondamentale è però imparare a farlo correttamente, di modo che allo sguardo di chi vede per la prima volta la fotografia il messaggio insito nella foto vada a stupirlo, senza venire prima frenato dalla constatazione che: “ah, questa è passata da Photoshop”, così come succede quotidianamente ovunque sul globo terracqueo ogni volta che si vede uno scatto pubblicitario rimanendone piacevolmente colpiti.

C’è, piuttosto da chiedersi: non è che tutta la teologica prurigine contro la post produzione non viene piuttosto da pigrizia, dalla mancanza di voglia di spendere tempo a elaborare scatti al computer?

Chiedo così, tanto per.

Questo è quanto ho per ora da dire in merito e ti rimando, lettore, alla prossima puntata di questa discussione che spero anche tu abbia trovato interessante e, chissà, magari divertente.

Ad Majora!

Mitologia dell'Autofocus e utilità del Focus manuale (panoramiche #2)

Avviso:

In questo blog la Fotografia è considerata pari a un luogo, un territorio vasto, ma non sconfinato. Ne consegue che sia in fase di scatto che di sviluppo si può arrivare a ottenere risultati simili e apprezzabili applicando diverse tecniche, attrezzature e modi di vedere. La qual cosa comporta che in questo ambito affermazioni troppo assolute che iniziano per “non è mai” oppure, “devi sempre” sono come porte chiuse, magari ben piantate a terra, ma senza muri intorno e quindi facilmente aggirabili.

Photo by Xuan Nguyen @darthxuan on unsplash.com

Photo by Xuan Nguyen @darthxuan on unsplash.com

 Alla luce di quanto sopra detto segue l’argomento trattato oggi: l’AF (Autofocus), uno dei più grandi mezzi di marketing applicati dai vari marchi di attrezzatura fotografica. Si vantano trilioni di punti di Messa a Fuoco, disposti lungo l’intero area d’immagine e magari anche oltre, con 3D Tracking, Multi Pixel, e sensibilità alla luce da almeno -10 EV. Ah, e poi naturalmente per l’efficacia dell’AF viene anche declamato quanto è migliore un obiettivo rispetto a un altro, con ovvia prevalenza sui “bianconi”, ossia quei teleobiettivi professionali (quelli della Canon hanno colore bianco, di lì il nomignolo) dal costo elevato.

Il tutto: caratteristiche vantate, recensioni e videorecensioni, ma anche le “guerre di religione” fra i fanboys dei diversi brand, serve solo a un fatto: vendere l’attrezzatura più costosa possibile. Una specie di Apple stile applicato alla Fotografia.

Photo by Jakob Owens @jakobowens1 on unsplash.com

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Si tratta di uno dei vari armamentari pubblicitari con cui irretire il mitico allocco con ampia capacità di spesa che si reca in negozio fotografico e ben poca cognizione di cosa sia la Fotografia, tranne una qualche desiderosa idea di “poterci fare tanti soldi”. Tali signori sono i beneamati clienti di quei negozi di Fotografia per cui, probabilmente, il qui scrivente non verrà mai chiamato a lavorarci, tale e tanta è presente qui l’attitudine alla vendita. Pazienza.

Cosa c’è di vero, però, sull’utilità di un formidabile e accurato Autofocus?

Se affermassi “nulla”, contraddirei la premessa del presente articolo, quindi starò cauto scrivendo: “qualcosa, ma nulla di troppo serio”.

Non fraintendetemi, però, per un professionista che ha una commessa pagata per fotografare un evento irripetibile, velocità e accuratezza di un comparto AF efficiente è importante. In altri generi, ugualmente professionali e paganti, della Fotografia e per chi è alle prime armi, però questa importanza è assai relativa.

Lasciate che vi racconti un piccolo aneddoto che mi è capitato.

The One Project @theoneproject on unsplash.com

The One Project @theoneproject on unsplash.com

Un paio di anni fa frequentando uno dei tre moduli di formazione sull’uso di Adobe Lightroom in una classe frontale a Milano. In pausa si faceva la classica conoscenza fra fotoamatori: con che macchina si fotografa, cosa piace fotografare, i progetti fatti e quelli in programma. Quando gli dissi che avevo in programma di fotografare un concerto della band rock di un amico, in uno spazio per concerti, con un vecchio 135mm degli anni ’70, il mio compagno di corso – inviatomi probabilmente dagli Dei della Luce e delle Ombre – mi disse la classica frase topica: “Ma non è possibile, non puoi mettere a fuoco efficacemente un soggetto in movimento con un obiettivo senza autofocus”.

La Fotografia, per chi la pratica, può fare tante cose. Dimostrare la realizzabilità dell’impossibile (o quel che tale viene percepito in qualche mente un poco ristretta) è la mia preferita. Perciò, al primo pomeriggio utile seguito a quel corso di cui sopra, mi recai al parco dell’Adda nord, in località Trezzo sull’Adda, e mi misi a documentare con la mia K3 e il Takumar 135mm f 2,5 (Bayonet), la vita di cigni e folaghe alla presa con la cova e l’espansività – a volte molesta – dei germani reali.  Da quel pomeriggio viene la seguente foto che decisi di intitolare proprio come questo formidabile fotoamatore aveva affermato: ‘Non si può mettere a fuoco efficacemente un soggetto in movimento veloce con una lente manuale’.

You can’t focus manually on fast mooving subjets, by Francesco Coppola

You can’t focus manually on fast mooving subjets, by Francesco Coppola

Esposto quanto sopra e volendo approfondire:

Le macchine fotografiche hanno cominciato ad avere la capacità di mettere a fuoco automaticamente in un tempo assai recente della Storia della Fotografia: del 1977 è il primo modello a montarlo, la prima reflex a usarlo fu la Pentax ME-F, del 1981, e non diventò uno strumento sufficientemente affidabile prima della seconda metà degli anni ‘80. Di Olimpiadi e competizioni sportive indoor; gruccioni, passeracei vari, se ne fotografavano anche prima. In manuale. Questo è un dato storico verificabile da chiunque sul web o in biblioteca. Cercatevi un po’ le foto che si facevano negli anni ’60 e ’70 alle competizioni sportive e all’avifauna. O anche nel reparto Moda. Sì perché questa aria di importanza che si da all’Autofocus oggigiorno tocca anche questo settore. Ci prova, almeno. Peccato che di scatti con movimento e svolti in velocità se ne facevano anche prima che l’AF diventasse veramente un argomento di discussione serio.

Photo by Zhen Hu @zhenhu2424 on unsplash.com

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Detto ciò, sembrerebbe – sentendo parlare certi fanatici degli automatismi fotografici – che gli unici ambiti professionali paganti in Fotografia siano, sport e fotografia naturalistica all’avifauna (quella di taglio piccolo e sempre in movimento: gruccioni e colibrì), nonché a un ben dato tipo di Fotografia di Moda.

Vi posso assicurare, senza paura di venire smentito, che si fa fior di Fotografia professionale anche scattando edifici, arredamento di interni, fotografando prodotti con tecniche macro. Vi è, anche, chi nell’ambito della Fotografia di Moda scatta anche mosso, o fuori fuoco, o usa macchine di Largo Formato con tecniche di Light Painting, dove l’autofocus, signori… non esiste. Guardatevi i lavori del grande Paolo Roversi, tanto per fare un esempio, e rendetevi conto.

E quando avete una commissione pagata per coprire un concerto al chiuso e il vostro AF non funziona più tanto bene? E quando, di lavoro in lavoro, succede di urtare l’obiettivo o danneggiare la macchina (quando si lavora l’attrezzatura si può rompere sul più bello, è un dato di fatto), e la macchina e l’obiettivo funzionano, tranne che per il benedetto Autofocus? Il fotoamatore magari dovrà rinunciare alla commessa, il Fotografo invece scatterà focheggiando in manuale, portando comunque a casa la pagnotta – dimostrando oltretutto professionalità.

Photo by Olesya Yemets @ladymilkydeer on unsplash.com

Photo by Olesya Yemets @ladymilkydeer on unsplash.com

 Posso anche spaventarvi con questo argomento, siete pronti?

Quanto pensate durerà la disponibilità a pagare bene un qualsiasi fotografo, a livello mondiale, da parte dei committenti, quanto la “fotografia computazionale” e l’intelligenza artificiale che già hanno cominciato a far capolino anche in questo mondo, avanzerà oltre? Quando ci saranno strumenti elettronici e/o informatici capaci di fare tutto il lavoro con un solo click? Chi continuerà a venire ben pagato per il proprio lavoro: il Fotografo viziato dagli automatismi della propria attrezzatura, o il Fotografo che sa andare in manuale, che sa inventare soluzioni quando l’affidabilità della propria attrezzatura viene meno? Chi sa creare L’errore calcolato?

Quindi, a chiunque sia alle prime armi con la Fotografia dico: imparate a mettere a fuoco in manuale. Si faceva un tempo, lo faccio io nella mia pratica, lo potete imparare a fare anche voi. Non c’è modo migliore per imparare la fotografia che scattare in manuale.

E con questo amichevole consiglio dal vostro umile praticante di Fotografia, ti saluto – caro lettore – e ti rimando alla prossima, spassosa, diatriba dal luminoso mondo della Fotografia.

 

 

 


Muovere i primi passi nella Fotografia (Panoramiche # 1)

Con questo post intendo iniziare a parlare di Formazione Fotografica, Gear Acquisition Syndrome, Accademie fotografiche, Composizione ed Esposizione su Smartphone e via Tutorial su You Tube, nonché programmi per il futuro. un argomento, insomma, che mi impiegherà parecchi post per trattarlo un minimo. 

Necessitandosi una semplificazione, per ragioni di spazio e di vostra pazienza, le scelte a disposizione le suddivido in tre categorie:

1. Comprare una reflex (o mirrorless) top di gamma full frame, con su montato magari un obiettivo bianco e l’anello rosso verso la lente frontale, pensando che basterà questo a fare belle, o comunque migliori, foto e che queste gli apriranno le porte di una ricca carriera da Fotografo.

2. Iscriversi a una delle tante, e sempre più diffuse, accademie di Fotografia, entrando così in un corso di studi che lo impiega tutti i giorni a tempo pieno per alcuni anni.

3. Iscriversi a forum fotografici e chiedere lì consigli, cominciando a fare pratica e a studiarsi tecnica fotografica da YouTube, facendo pratica col proprio smartphone usandolo in manuale e scattando in formato .RAW (o .dng, o ancora jpeg+dng).

Il primo approccio, per quanto presentato in maniera semplicistica, non è raro.

Difatti è una costante del mondo fotografico amatoriale e semi professionale, quella di cadere nella così detta G.A.S. (Gear Acquisition Sindrome, ossia Sindrome da Acquisizione compulsiva di attrezzatura), dietro la quale sta sempre sotteso il medesimo concetto: “la mia fotografia migliorerà se compro attrezzatura migliore”.  

Photo by lalo-hernandez-1090646-unsplash

Photo by lalo-hernandez-1090646-unsplash

Per intenderci, anche un professionista vi dirà che l’attrezzatura non conta, ma conta. Ho trovato più di una volta annunci di collaborazione fotografica di Fotografi Matrimonialisti che inserivano fra i requisiti per candidarsi il possesso di una macchina “professionale”, persino di ben specifici marchi. Vero è che con una Full Frame professionale si hanno a disposizione caratteristiche di robustezza generale, resistenza a pioggia e polvere, facilità di uso in ben date situazioni, che permettono di fare prima e forse meglio certi scatti. Questo, però, a patto di conoscere la Fotografia: composizione, Esposizione, possedendo la capacità di leggere la luce per sapere usare questo strumenti di precisione al meglio a seconda delle situazioni, avendo sviluppato quel famigerato Occhio fotografico capace di individuare in breve tempo uno spunto (un soggetto, un contesto, uno schema di colori, luci o trame, se non geometrie), non solo gradevole, ma anche innovativo.

Il problema di chi pensa prima a spendere diversi stipendi medi in attrezzatura, senza essersi preso, prima, l’impegno di praticare la Fotografia è che farà comunque un gran numero di brutte foto. Su 1000 scatti (magari fatti a raffica, in modalità automatica), 10 o 20 verranno dal benino al bene, 1 o 2 saranno il classico “colpo fortunato”. Così però si rischia di farsi conoscere però più per i restanti 980 scatti, dal banale al pessimo. A livello professionale, però, i committenti pretendono che il fotografo produca una serie di scatti, tutti di ottimo livello. Un progetto fotografico intero, insomma. Con uno scatto fortunato fra 20 scarsi non porta nessuno da alcuna parte.

 

Col secondo approccio, vi è almeno un iniziale impegno allo studio e alla pratica dell’Arte. I costi sono alti e l’attrezzatura usata, beh, in parte verrà fornita dall'accademia, ma poi lì dentro consiglieranno cosa acquistare, anche in base alle varie specializzazioni che esistono in Fotografia e che suggeriscono l’uso più di un tipo di attrezzatura rispetto a un’altra.

Photo by Fabian Grohs on Unsplash

Photo by Fabian Grohs on Unsplash

Un vantaggio di questa via è, inoltre, che un’Accademia dovrebbe fornire un ambito iniziale di conoscenze attraverso il quale iniziare a fare collaborazioni e primi piccoli lavori, più o meno pagati. E poi, certo, in Accademia si entra in contatto con i migliori professionisti attualmente in circolazione, e dovrebbe anche fornire una cultura storica che può aiutare a orientarsi in questo vasto mondo, permettendo così di individuare più facilmente nicchie poco sfruttate dalla gran massa di altri fotografi. Oggigiorno la capacità di differenziarsi e individuare una nicchia poco sfruttata di Fotografia è una capacità fondamentale.  

Potrebbe, quindi, valere la pena iscriversi a un’accademia, se si hanno più di diecimila euro l’anno da spendere in questo tipo di istruzione, almeno.

Manual mode, by Francesco Coppola

Manual mode, by Francesco Coppola

La terza e ultima via di apprendimento, approccio che tendo a consigliare, è quella in cui ci si muove molto su internet per apprendere, mentre si fa pratica dove si può e si vuole. Con un’attrezzatura minima. Per iniziare, così, può andare benissimo anche il proprio smartphone, si possono trovare idee e soggetti su cui esercitarsi ovunque, in casa o nel più vicino giardino. Va bene per chiunque, quasi con qualsiasi budget a disposizione.  

YouTube è una miniera apparentemente infinita di tutorial e video informativi, anche sulla Fotografia soprattutto se si capisce l’inglese. Non mancano video in italiano, intendiamoci, ma la formazione più divertente e più abbondante è nel primo linguaggio che ho indicato. I tutorial prodotti dai vari fotografi-youtuber, possono essere occasionali e slegati l’uno dall’altro, ma si possono anche trovare video di Cultura fotografica. Può insomma mancare l’ordine graduale di apprendimento che può fornire uno studio in classe più classico.

Ottenere pertanto riscontro sui propri primi scatti, e la guida di qualche praticante della Fotografia più esperto, è consigliabile. Pertanto, frequentare forum di fotografia in cui si possono condividere e commentare fotografie è una risorsa consigliata. Facendovi un po’ di attività social, si riesce ad avere qualche indicazione sul proprio lavoro. Attraverso questi forum, oltretutto, o anche informandosi in giro, si possono trovare quei corsi introduttivi alla Fotografia organizzati da associazioni o enti come i comuni o l’ARCI. Pagando qualcosa in più si può accedere anche a corsi organizzati da studi fotografici. Si parla in questo caso di corsi bi- o trimestrali, spesso serali, che forniscono formazione e prove pratiche, oltre a possibili workshop e altri tipi di incontri, che instradano verso con maggior ordine la formazione fotografica. Le spese possibili, quindi, possono variare dal molto poco a qualche centinaio di euro a quadrimestre, una scelta aperta per diverse capacità di spesa.

L’importante è cominciare a comprendere meglio le regole della Composizione e dell’Esposizione, incominciare a scattare in modalità Manuale e registrare le immagini in formato .RAW (o .dng che è una varietà di file RAW).

Difatti, oltre a tecniche di scatto è bene cominciare a prendere conoscenza pure con i programmi di fotoritocco, quali la suite Adobe per fotografi (Lightroom+Photoshop). Sono ben cosciente che vi è un popolo intero, fra i fotoamatori, che ha brutte opinioni sull’uso di Photoshop. Qualsiasi favola negativa abbiate sentito contro l’editing delle foto, però, state certi che in buona parte si tratta di opinioni prive di riscontro, pratico o storico. Questo sarà argomento a cui dedicherò un post specifico prossimamente.

Anche per quanto riguarda l’apprendimento della post-produzione, non stiamo parlando di grandi cifre. Alcuni programmi alternativi a quelli di Adobe (uno dei quali è GIMP) sono anche gratuiti, e la suite per fotografi di Adobe costa appena 12 euro, circa, al mese, con libertà di cancellare l’iscrizione in qualsiasi momento. YouTube è poi piena anche di tutorial sul foto-ritocco, per non parlare delle piattaforme di e-learning che su questo argomento offrono iscrizioni a basso costo che permettono l’accesso a una montagna in continuo aggiornamento di corsi. Parlo di siti come KelbyOne, di Scott Kelby, ma ve ne sono diverse altre, quali Skillshare oppure CreativeLive), così come corsi frontali organizzati da enti, associazioni e studi fotografici.

Adobe Lightroom BW, by Francesco Coppola

Adobe Lightroom BW, by Francesco Coppola

Altrettanto importante è avere la consapevolezza che ci vuole tempo, almeno due, se non tre, anni di corsi, esercitazioni e pratica, acculturazione, sono necessari. La differenza di questo approccio è che si è liberi di frequentate col proprio passo e tempo, assaggiare e decidere dopo se questo tipo di attività va bene, se piace davvero poi così tanto.

Bisogna quindi avere un minimo di autodisciplina e sapersi orientare. Mi preme però qui sottolineare che qui non stiamo parlando di un insegnamento teorico, con esercizi basilari che poi non userete più. Imparare la Fotografia non è come apprendere la Matematica, ma è più simile allo studio di una lingua: non si finisce mai - per esempio - di giocare con le regole della Composizione.

L’iniziale “dispersione” del neofita, che si esercita su tanti tipi di Fotografia diversa (Paesaggio, Macro, Street, Sport, Avifauna) non è certo tempo perso, anche perché tecniche tipiche di un genere possono benissimo venire applicate a un altro più specialistico che si sceglierà in seguito. La Macro, per fare un altro esempio, praticarla è utile per avere un bagaglio di tecniche utilizzabile per la Food Photography e la Product Photography professionale, così come per la Fotografia di d’Interni, ma anche i ritrattisti usano, spesso, obiettivi macro. Tutti settori, questi, che possono rivelarsi remunerativi.

Personalmente mi ripropongo personalmente di aprire – su questo blog e sulla pagina Facebook connessa a questo sito – una rubrica di condivisione di tutorial e video formativi fotografici. Farò sul blog la recensione dei canali YouTube più utili, mentre sulla pagina FaceBook condividerò via via i video più salienti. Così potrete seguire qualche insegnante più professionale del sottoscritto il quale è ancora un mero studente.

 

Questo è quanto, finalmente,

è stato un lungo articolo, spero vi sia piaciuto.

A presto!

 

Ad Majora!

Perché la Fotografia (Panoramiche #0)

Inauguro oggi questa che sarà una nutrita rubrica del mio blog, quella delle panoramiche sul mondo della Fotografia in generale.

Perché tento di farmi una carriera nella Fotografia e per giunta nel Ritratto Moda?

Qui infatti volerò veloce sui miei esordi fotografici, sul mondo del lavoro oggi, sulla differenza fra CV e Portfolio, e un iniziale approccio alla panoramica di quali settori della Fotografia possono portare guadagni e cosa non più.

Sunset from Rifugio Citelli, july 1993 - Vivitar V2000+Vivitar 24mm f 2,8 MC

Sunset from Rifugio Citelli, july 1993 - Vivitar V2000+Vivitar 24mm f 2,8 MC

Se tutto, per me, ha avuto inizio dalle tante escursioni fatte da ragazzo sulle balze dell’Etna. Se la pratica fotografica nel tempo ha forgiato a nuovo i miei occhi, capaci ora di vedere dettagli che prima non avrei mai immaginato di riuscire a cogliere. Se mi sono arrivati apprezzamenti, incoraggiamenti, richieste di nuove collaborazioni, questo fa di me – a oggi – niente altro che un amatore della Fotografia, uno che potrebbe anche continuare così, senza pretendere altro che di continuare a fare “click” per soddisfare il proprio senso estetico.

Me at the base camp, PNALM july 1992

Ma non nascondiamoci. Sono un italiano, creativo, umanista, ereditiere di spirito di servizio quanto pessimo venditore, con passione e voglia di mordere la Vita. Ho un passato, anche, da apprendista narratore, redattore e editor di testi in certo sottobosco milanese dell’Editoria. Mi ci sono voluti più di 6 anni per concludere che da quel settore non si poteva ricavare un ragno dal buco. Chi conoscevo in quel micro-mondo e continua a combattervi, ha un altro lavoro e/o si deve accontentare di pubblicare con la micro-editoria o in autonomia con Amazon, non ricavandoci certo il necessario per pagare bollette e affitto. Non ho alcuna nostalgia di quegli anni passati a scrivere articoli per il web.

la lettura eleva

Agenzie interinali e uffici per l’impiego non sanno fare altro che dirmi che hanno troppa gente a cui badare, o che stanno attendendo finanziamenti dalla regione per nuovi progetti. Dagli annunci on line non mi vengono che proposte di consulenza commerciale (a zero fissi) e call center.

Vivere nel hinterland milanese nel 2018, però, con il mio livello di conoscenza di lingua inglese, apre strade una volta non accessibili. Milano è la capitale italiana e una di quelle europee della Moda, un settore internazionale ove il lavoro fatto bene è ancora valutato e pagato come merita. Nessuno in questo mondo dirà corbellerie come: studiare i maestri non serve, conta solo esprimere sé stessi, oppure, non devi fotografare per farti una carriera, pensalo come un hobby, ma anche noi non sappiamo comprendere dove sia la qualità. Un business defunto parla in quel modo. La Fotografia di Moda è ancora viva.

Aggiungiamoci il fatto che nella Fotografia, soprattutto di Moda, saper raccontare con le foto, in una serie di scatti e non solo imbroccare la singola foto “carina”, è importante. Perché con le immagini bisogna raccontare storie e suscitare emozioni. Non ho fatto altro, dal 2005 al 2015 che allenarmi a raccontare storie, con le parole. Posso benissimo imparare a farlo anche con le immagini.

Esulando dal settore specifico della Fotografia di Moda, anche altre specializzazioni possono condurre a una carriera vera e propria. No, non parlo di matrimoni e cerimonie, fotogiornalismo, fotografia di viaggio e street, purtroppo nemmeno scattare paesaggi e animali selvatici, questi sono i vecchi ambiti della Fotografia che sono divenuti sempre più di difficile remunerazione, per un gran numero di motivi. Nel settore della Fotografia di Architettura e Interni, però, va ancora bene: le riviste di questo settore sono fra le ultime a pagare ancora i servizi che pubblicano. Succede anche in alcuni ambiti della Fotografia Sportiva ad alti livelli per i club sportivi maggiori, ma non solo, anche il settore motoristico può fornire trattamenti economici che altri tipi di Fotografia non vedono più da tempo.

Nuovi sbocchi di lavoro remunerato possono essere la Fotografia di animali da compagnia (Pet Photography): c’è chi pagherebbe per dei buoni ritratti o anche book fotografici al proprio amico a quattro zampe. E poi c’è tutto il settore del micro-stock, per Fotografia e Video. Sì, perché le moderne macchine reflex e mirrorless permettono di girare video, anche di buona qualità. Una volta attrezzatura e programmi di sviluppo video costavano tanto, ma ai giorni nostri macchine capaci di girare filmati in 4k se ne trovano anche a meno di 1000 euro, per i programmi di editing video, c’è DaVinci Resolve, che è gratuito. Anche Adobe ora offre, dall’ultimo aggiornamento di Adobe CC, con il pacchetto di applicazioni per fotografi uno strumento per il montaggio e editing di video chiamato Premiere Rush CC.

Questo mi porta anche a YouTube, se si riesce ad avviare un canale con diverse centinaia di migliaia di utenti e si usano varie altre strategie, può portare a un’entrata. Infine, Istagram: la principale fonte di promozione pubblicitaria per le aziende a livello mondiale. Sapendosi fare una platea di almeno 5000 follower lì, ciò può portare al/la fotografo/a l’attenzione di aziende che possono sfruttare le sue capacità fotografiche per farsi pubblicità.

Insomma, con le immagini - siano esse disegnate, fotografate o riprese - non c’è alcuna barriera nazionale. Non si è legati per forza a committenti nazionali, che sanno comprendere il valore del lavoro creativo e sono abituate a non pagare il lavoro altrui, soprattutto se svolto al pc. Con un minimo di inglese, con le immagini si può arrivare dove si vuole. Certo, non è una strada facile, non è per tutti. Necessario è studiare, acculturarsi, praticare praticare praticare e avere pazienza e perseveranza, ma non sono questi percorsi ove si viene tagliati fuori perché non si viene dalla famiglia, o dal giro giusto, non ci sono raccomandazioni, non costa tanto iniziare, molta della formazione necessaria viene fornita a bassissimo prezzo in rete.

Queste strade, quindi, saranno strette, ma sono libere al percorso di chiunque abbia le energie e la volontà personali per riuscire.

Photoman I am

Il mondo della Fotografia, poi, seleziona le persone via Portfolio.

E il Portfolio non cita l’età dell’autore.

Né gli studi fatti.

Né l’attrezzatura usata.

Quindi, perché sono appassionato di Fotografia, oggi?

Perché può diventare uno strumento efficace per raccontare storie venendone remunerato.

Rising star

Un sogno che si rinnova.

Una vecchia fiamma che arde ancora.

 

La Fotografia può fare questo e molte altre cose, nel parlerò più approfonditamente nel prossimo post, per ora ti saluto, caro lettore. A presto!