Sugli obiettivi fotografici 0 (Panoramiche #12)

Premessa

Comincio, in questa dodicesima edizione delle mie panoramiche, a parlare di un importante elemento del corredo fotografico di qualsiasi fotografo: gli obiettivi.

Jupiter 9 BW: ph: Francesco Coppola

Jupiter 9 BW: ph: Francesco Coppola

Molti possono arrivare a immaginare quanto essi siano importanti. In combinazione col corpo macchina, questi attrezzi sono responsabili di buona parte della qualità d’immagine che verrà registrata nei file prodotti dalla macchina fotografica. Di obiettivi fotografici, oltretutto, se ne producono dal XIX secolo, periodo in cui iniziava l’epica ascesa della Fotografia con i dagherrotipi all’inizio, le esposizioni molto lunghe, le pose infinite e la contesa con la Pittura.

Alla Storia della produzione di obiettivi fotografici mi dedicherò in un successivo post, ora, a discorso appena aperto è bene che cominci più in generale a introdurre l’argomento e a chiarire qualcosa.

Cominciando da questo: quali sono le caratteristiche che rendono migliore un obiettivo rispetto a un altro?

I componenti della Resa d’Immagine di un obiettivo fotografico

A bunch of my lenses BW; ph: Francesco Coppola

A bunch of my lenses BW; ph: Francesco Coppola

Ciò che definisce classicamente le qualità degli obiettivi, di qualsiasi uso, lunghezza focale, zoom oppure ottica fissa, sono: la Nitidezza[1], composta a sua volta da elementi misurabili come Risolvenza, l’Acutanza e il Contrasto; la Resa dei Colori[2]; La Resa dello Sfocato[3]; il Microcontrasto[4] e la Tridimensionalità dei soggetti fotografati[5].

In era più recente sono arrivate altre qualità da tenere in conto e che una volta non esistevano: l’autofocus, per cominciare. La stabilizzazione degli obiettivi è un’altra novità, ma ancora più di recente sono venuti a disposizione dei fotografi anche i sensori stabilizzati. Inoltre, può essere un attributo fondamentale la resistenza a pioggia e polveri[6].

Poi ci sono i difetti degli obiettivi, più o meno presenti e risolvibili nei programmi di post produzione, ma anche eventualmente sfruttabili nella Fotografia creativa, quali: la Distorsione degli obiettivi[7], l’ammontare della vignettatura, Aberrazioni Cromatiche[8], Diffrazione[9] e Aloni su parti o intera immagine (Ghosting).

Vecchia filosofia progettuale degli obiettivi contro la nuova e computerizzata

Old Optics by Alasdair Elmes on unsplash.com

Old Optics by Alasdair Elmes on unsplash.com

Se si parlasse con il solito entusiasta, fan di brand di maggior grido, oggi cosa rende un obiettivo migliore di un altro, sicuramente affermerebbe che la Nitidezza è la più importante, da avere non solo al centro ma anche ai bordi, e sin da tutta apertura – possibilmente. Questo unito all’assenza, possibile o comunque auspicabile, di ogni difetto di distorsioni, diffrazioni o altro.

Persone più avvedute e più professionali, magari, risponderebbero che il giudizio su ogni obiettivo dipende dall’utilizzo che se ne deve fare. Una cosa, infatti, è misurare le qualità di un’ottica se si deve riprodurre in immagine una realtà[10], altra cosa se si deve rendere in immagine un’idea, uno stato d’animo o un sogno[11].

Da questo punto di vista, quindi, bene: se devo scegliere un obiettivo utile a riprendere i giocatori di una squadra di basket che gioca una partita in un palazzetto dello sport in notturna, mi orienterò possibilmente per un buono zoom, un 70-200mm, di cui è mio interesse che sia risolvente (o “affilato”) e abbia un autofocus efficiente (perché la paga del servizio dipende dal numero di scatti in focus che porto a casa e consegno) e che sia sufficientemente luminoso – che abbia quindi un diaframma massimo abbastanza aperto (o “veloce”), almeno f 2.8 se scatto con una macchina a Pieno Formato.

In compiti come quello, probabilmente, sì, mi affiderei alle sirene della “Moderna Ingegneria degli Obiettivi”. Pazienza se il risultato finale sarà mediamente “piatto”.

Se il mio compito è invece quello di ritrarre una o più modelle, che vestono un dato capo d’abito di un marchio, il cui direttore artistico mi richiede di esprimere in immagini la “voce” (il Look and Feel) del brand, beh, a parte l’ovvia difformità di richieste che possono arrivare da clienti diversi e di diverso settore merceologico, ma è probabile che se la richiesta è “naturalezza”, “sogno”, “romanticismo” (tanto per fare un’ipotesi all’impronta) scattare in Luce Naturale con qualche vecchia lente vintage, con focus manuale, che però mi permette di esibire uno sfocato di altri tempi, e un soggetto che sembra uscire fuori dallo schermo e ancora di più dall’immagine stampata, beh, diviene altamente preferibile.

Certo è, che oggigiorno non si producono obiettivi fotografici come si faceva una volta e questo comporta vantaggi e svantaggi per ambo le scelte.

A causa dell’introduzione dei computer nella progettazione delle ottiche e del desiderio di accontentare un pubblico generalista che tende a vedere i difetti in modo unidimensionale, si è andati verso una progressiva eliminazione dei vari difetti dell’immagine, questo con l’aggiunta di vetri speciali, di un design più complesso comportante maggiori complessità degli schemi ottici, maggiori dimensioni e peso degli obiettivi. Per non parlare dei costi di produzione e del prezzo finale. Non solo, però, questo sforzo progettuale ha aumentato la Nitidezza in tutto il frame ed attenuato – se non del tutto eliminato – problemi di distorsioni, vignettatura e color-fringing, il punto è che così gli obiettivi perdono in tridimensionalità, resa dei colori e personalità.

Se apparentemente l’attuale filosofia costruttiva degli obiettivi predilige la complessità, ai tempi della Fotografia Analogica, la direzione costruttiva per gli obiettivi preferiva la semplicità. Si riteneva, non senza ragioni, che più lenti si aggiungono a uno schema ottico, più problemi da risolvere questo comporta e ciò perché sempre, anche oggi, la costruzione di obiettivi è sempre un compromesso fra pregi e problemi che le varie possibili soluzioni tecniche offrono.

Sleeping Feline Beauty; ph: Francesco Coppola

Sleeping Feline Beauty; ph: Francesco Coppola

Fra le vecchie lenti, infatti, ve ne sono alcune che con tutti i loro difetti possibili, possono dare un caratteristico look, e ricordare un’intera epoca di produzione fotografica, o avere effetti per riprodurre i quali, sulle nuove, pesantissime, costose, lenti moderne alcuni fotografi professionisti sono obbligati a mettere davanti vari filtri, più o meno autoprodotti o acquistati, per andare alla ricerca di quelle caratteristiche che un obiettivo vintage da, magari, 40 euro[12] darebbe loro naturalmente e senza alcun intervento di filtro in fase di scatto, o in post produzione.

Attenzione quindi, a scartare a priori i vecchi obiettivi vintage. Attenzione a farvi sedurre dalle avveniristiche proprietà degli obiettivi più recenti. Potreste scoprire che avreste fatto meglio a spendere meno di 100 euro in una vecchia ottica degli anni ’60 o ‘70, mantenere viva la vostra capacità di focheggiare in manuale, ottenendo così risultati migliori e più in fretta che sborsando 1500 euro su quel 50mm f.1,4 di quel brand là, o di quell’altro.

Se alla fine della vostra elaborazione delle foto a pc, voglio dire, finite per aggiungere un poco di vignettatura, l’assenza totale di questa dubbio “difetto” nel vostro modernissimo 35mm f 1,4 a tutta apertura – perché riconoscete, almeno a livello subliminale che la vignettatura aiuta a rendere il soggetto più tridimensionale – non converrà forse prendere un adattatore e un vecchio Voigtlander prodotto negli anni 50?

Naturalmente, per il qui scrivente, fate bene a utilizzare quello che volete come obiettivi, anche roba con una ‘Art’ scritta sull’obiettivo, o i più recenti gioiellini di casa Canon, Nikon, Sony, Fuji, eccetera.

Io, da ritrattista che spera di entrare nel mondo della Fotografia di Moda, mi tengo stretto i miei Konica, Jupiter, Tessar, Minolta o Super Takumar.

Tessar Jena in action; ph Francesco Coppola

Tessar Jena in action; ph Francesco Coppola

E questo è quanto per questa prima e introduttiva trattazione sugli obiettivi fotografici, vi rimando alla prossima settimana per un primo approfondimento sull’argomento.

A presto e

Ad Majora!












































































































































[1] Si tratta di un fattore che non comprende solo elementi misurabili, ma anche apparenti e psicologici. Fra quelli misurabili la Risolvenza è la presenza, riscontrabile a occhio nudo, di dettagli molto fini e vicini tra loro; l’Acutanza è l’indice della rapidità con cui avviene la variazione di densità tra un elemento e l'altro dell'immagine, mentre il Contrasto, indica il grado di differenza di questa densità nelle zone di acutanza simile.

[2] In inglese (lingua dominante in questo mondo) detta “Color Rendition”. Quindi non sono solo i sensori dei corpi macchina a dare una certa resa dei colori, ma anche gli obiettivi con cui si scatta.

[3] Spesso indicato con la parola giapponese “Bokeh” ed erroneamente intesa unicamente come i punti di luce resi più o meno come grosse sfere o più allungate come occhi di gatto, quando appunto sta per l’intera area non a fuoco del frame.

[4] Al contrario del Contrasto, che riguarda la differenza fra zone in luce e zone in ombra nell’intera immagine, questo attributo riguarda il contrasto percepibile nei dettagli fini.

[5] Detto in inglese anche “3d Pop”, ed è stato il santo Graal della Fotografia sia dai suoi esordi, per l’ovvio motivo che si fotografano certamente soggetti tridimensionali che però vengono impressi su un supporto bidimensionale (il lato sensibile di una pellicola, o l’insieme di elettrodi che coprono un sensore). Ora andato quasi perduto con la moderna ingegneria computerizzata delle ottiche, viene reso da un mix fra aree a fuoco e zone sfocate, il contrasto vi entra oltre alla direzionalità della Luce.

[6] Viene detta, sulle lenti, WR o Weather Resistance e, appunto, non riguarda solo la resistenza a spruzzi d’acqua o a pioggia anche intensa, ma anche la resistenza alle polveri. Ovviamente WR non equivale a “subacqueo”. Immergere in acqua un corpo macchina – per quanto Weather Resistant – e la sua lente WR non è mai una buona idea.

[7] Le distorsioni prospettiche più conosciute sono quelle “a barilotto”, tipica degli obiettivi grandangolari, e quella “a cuscino”, tipica dei teleobiettivi.

[8] Come quegli aloni colorati di verde e di viola ai bordi di aree ad alto contrasto e vengono chiamate, nello specifico Color Fringing.

[9] Questo elemento è una caratteristica presente in ogni obiettivo e si manifesta come una morbidezza dell’immagine (perdita di contrasto, micro contrasto e nitidezza in generale) che sopravviene ai diaframmi più chiusi. Un elemento, fra l’altro, più riscontrabile negli obiettivi montati su macchine dal sensore più piccolo del Pieno Formato.

[10] Come per esempio: una partita di sport, un edificio nel suo esterno o interno, il Paesaggio e varia vita che lo abita, i prodotti commerciali da riprodurre il più possibile fedelmente.

[11] un’astrazione dalla realtà da riprodurre in grande formato per un’esposizione di Fine Art, ogni elemento del paesaggio urbano o naturale che si vuole rendere con una nota personale, artistica; il ritratto ovviamente, e il nudo, che non sono ovviamente la mera trasposizione delle qualità estetiche del soggetto, ma il soggetto e quello che indossa o meno, sono i veicoli del messaggio emotivo da trasmettere in immagine.

[12] A cui aggiungere meno di venti di adattatore e quasi altrettanto di eventuali spese di spedizione.

Prepararsi al salto (Panoramiche #11)

Premessa
Un’uscita speciale per questa panoramica, non solo per il giorno diverso e coincidente con uno shooting, ma soprattutto per il contenuto che segue. Certo, è un mio shooting, ma è anche uno speciale e che mi lega al me futuro, oltre che a ogni altro fotografo, apprendista o professionista.

Di Flussi e Salti

Preparing for the job, ph: Francesco Coppola

Preparing for the job, ph: Francesco Coppola

Il percorso di un Fotografo che prende seriamente la sua passione e mira a farne una professione è come un flusso. Quando tutto va bene, almeno, le giornate passano fra contatti con modelle, moodboard da creare, visite a mercatini e negozi di abiti usati da visitare, guardare le nuove uscite fra campagne e editorial su Models.com, sessioni di scatto, sviluppo degli scatti a pc, corsi ed eventuali workshop di vario tipo inerente sempre alla Fotografia. Lo fa il praticante, lo fa il professionista (anche se quest’ultimo ha in più altre incombenze, come magari corsi e lezioni da preparare, viaggi da organizzare, visite dal commercialista, ecc.)

Prima o poi, però, arriva auspicabilmente un momento in cui questa fila di eventi perviene a un momento di salto qualitativo. Può essere questo costituito dal presentarsi a una nuova agenzia, o cominciare una nuova collaborazione con un committente importante. Può essere, e questo è lo stadio certo iniziale – quello in cui mi trovo personalmente – in cui ti trovi a collaborare a un certo punto dello spazio-tempo (il quale è anche interno al Fotografo) in cui non si propone più “una sessione di ritratto per sperimentare”, bensì per creare delle immagini abbastanza precise in cui riversare l’esperienza dei vari mesi passati a scattare sperimentando.

Questo, infatti, è quanto mi prefiggo di fare fra poche ore, quando fotograferò le due sorelle Melissa e Valeria nel piacentino.

Non è mai un evento come un altro, andare a fotografare una modella, ma in queste occasioni ci si può sentire come su un trampolino per tuffi. Si può anche sbagliare, in parte se non del tutto, non essere abbastanza focalizzato, attento e pronto a dare il meglio di se stessi. Si può fare una gran panciata, insomma, con tanto rumore, un grosso schizzo d’acqua e un bruciante dolore. Nulla dice, però, che le cose debbano andare così.

Se ci si focalizza su tutto quello che può andare male, si è già perso. Bisogna invece concentrarsi su quel che si vuole fare, su quel che si vuole ottenere, sulla gioia dell’evento. Ci si deve chiedere: Cosa desidero? Immaginarlo, e lanciarsi.

Il tutto per arricchire sostanzialmente un Portfolio che deve convincere chi lo guarda che sono in grado di produrre immagini emozionanti, d’impatto e uniche.

Il tutto per avvicinarsi a una possibilità di carriera.


Il tutto, Ad Majora!





































Sulle modelle 4 - il momento della Post (Panoramiche #9d)

Introduzione
Per chi dovesse accorgersi solo ora di questa serie di articoli sul rapporto fra fotografo (specialmente se in formazione) e modelle, avverto che in precedenza si è già illustrato sia l’importanza fondamentale delle modelle, che di come contattarle, oltre alla preparazione e allo spirito necessario – una volta arrivato il giorno – prima dello shooting.

Ora, tornati a casa con le schede di memoria piene e la liberatoria fotografica compilata e firmata, messa in archivio, comincia l’altra metà dell’attività di Fotografo: lo sviluppo degli scatti.

Questo articolo non tratterà in generale la questione (anche se in realtà ne avevamo già accennato in passato), più che altro ci soffermeremo sul rapporto fra tipo di collaborazione con la modella ed elaborazione di ritratti.

Di selezione degli scatti, tempistiche e altri fattori dello sviluppo in base al tipo di shooting

Selezionare lo scatto in LR, ph: Francesco Coppola

Selezionare lo scatto in LR, ph: Francesco Coppola

Esiste una differenza fra sessione di scatti in collaborazione TF e una in cui la modella viene pagata anche per quel che riguarda questa, fondamentale, fase del lavoro fotografico. Se lo shooting è stato pagato, infatti – fatto salvo il rapporto personale con il soggetto – la modella può vedere solo gli scatti editati al loro stato finale, una volta che il fotografo ha finito di svilupparli e li espone sul proprio sito, o altra piattaforma fotografica che desidera (sempre, a patto che abbia la liberatoria firmata in archivio).

Una collaborazione, invece, presuppone che in qualche modo fotografo e modella si consultino anche durante la fase di sviluppo, tenendo però a mente un punto fondamentale: la selezione finale degli scatti, l’ultima parola in merito ai trattamenti da operare via software di photoediting spetta unicamente al fotografo. Per il resto ci si può organizzare quanto più liberamente si voglia.

Personalmente, in caso di collaborazione, invio i provini a risoluzione minima degli scatti prima dello sviluppo, scremati appena delle prove di esposizione e degli scatti con focus o esposizione venuti male. Siccome, però, lo scatto RAW come sfornato dalla macchina fotografica è così diverso dalla sua versione finale, questa visione ha un valore relativo, semmai varrà come prova delle capacità di sviluppo a computer del fotografo.

Le selezioni però non finiscono certo alla primissima scrematura. Dopo questa, infatti, parte la decisiva ricerca degli scatti più attinenti al mood che insieme si è evocato, e quelle di maggiore impatto. Questo può richiedere più di una selezione, anche perché è bene abituarsi (se si vuole lavorare con agenzie e riviste), selezionare non solo delle “prime scelte”, ma anche una serie di foto che costituiscano una “seconda scelta”, cosa che – ribadisco – le controparti nelle agenzie e nelle riviste si aspettano.

In caso di collaborazione TF, quindi, è altamente probabile che uno scatto in cui la modella si vede meglio potrebbe non rientrare negli scatti di prima o di seconda scelta. Qui sta il lato più delicato della collaborazione e un compromesso va trovato. In ogni caso, alle brutte, si può aggiungere qualche scatto in più “per la modella”.

Qualche parola in più sulle tempistiche dello sviluppo

Prima e seconda scelta in Adobe Lightroom, ph: Francesco Coppola

Prima e seconda scelta in Adobe Lightroom, ph: Francesco Coppola

Quanto sopra illustrato ci porta a quanto segue: contrariamente a quella che può essere la percezione di è esterno al mondo della Fotografia, lo sviluppo a computer di una serie di scatti richiede tempo, ponderazione e preparazione. Un workflow completo di una sessione di Ritratto, dall’iniziale scrematura degli scatti sbagliati, alla presentazione di alcuni jpeg completamente sviluppati, dura mediamente un mese – se il fotografo ha da sviluppare un solo shooting in un dato periodo di tempo, cosa che, auspicabilmente, gli capita raramente. Più probabile, infatti, è che abbia per le mani tre o quattro sessioni di scatto eseguite in un mese, e questo può comportare difficoltà.

Il qui scrivente tende a svolgere comunque i lavori in ordine cronologico, tentando per quanto gli è possibile, di rispettare quella tempistica media per ogni singolo shooting. Alle brutte, fra uno shooting pagato e uno in collaborazione, posso dare la precedenza al secondo. Dovessero, però, capitare dei lavori su commissione, sarebbero queste ultime ad avere la precedenza sui progetti personali.

Questi lavori fotografici, editoriali o campagne che siano, possono essere diversi, in numero di scatti, tipo di concept, illuminazione, location, eccetera, possono variare e tutti prevedono diversi gradi di collaborazione con cui il fotografo deve contrattare.

Il punto è che il fotografo, quando si arriva al livello professionale, decide le selezioni di scatti (prima e seconda scelta) su cui lavorare e da presentare al selezionatore in agenzia, della rivista, oppure all’Art Director del Brand. L’accettazione degli scatti, di prima o seconda scelta, sta a queste ultime figure.

Può capitare che una prima scelta venga accettata in toto, ma più spesso capita – soprattutto agli inizi di una carriera – che vengano preferite le seconde scelte, oppure il fotografo è costretto a tirar fuori uno scatto che non aveva selezionato affatto.

La pazienza e la capacità di autoanalisi, di contrattazione e di comprendere le motivazioni altrui è quindi tutto un bouquet di capacità che vanno inserite nel novero delle abilità del fotografo che vuole diventare un professionista nella Fotografia di Ritratto e Ritratto Moda.

Questo – ancora una volta – va oltre e al di là dell’attrezzatura fotografica utilizzata, la quale ha sicuramente un suo ruolo e importanza, ma non è tutto.

Ci vuole il Workflow

Workflow strategy by Campaign Creators on unsplash.com

Workflow strategy by Campaign Creators on unsplash.com

In un precedente articolo ho già parlato dei requisiti minimi di un computer capace di reggere un processo di sviluppo fotografico, oltre che ad accennare ai programmi più diffusi per questo fine.

Qui mi concentrerò invece a esporre velocemente in merito al Workflow, o Flusso di lavoro, se preferite, come anche di alcune tecniche usate dai ritrattisti.

Qualsiasi fotografo, dal livello amatoriale sino al professionista, deve sviluppare prima o poi un proprio flusso di lavoro a computer per lo sviluppo delle foto. Questo vale per qualsivoglia genere della Fotografia.

Si sappia però che il Ritratto fotografico necessita tecniche che gli sono proprie e che altri approcci allo sviluppo fotografico possono dare risultati pessimi. Questo soprattutto a causa delle caratteristiche della pelle che reagisce assai male (e ben presto) all’uso di slider come quello del Contrasto, del Dehaze e della Clarity.

Le singole tecniche specifiche si possono anche apprendere on line sulle tantissime piattaforme di apprendimento via web. Un workflow completo da ritrattista, però, è un procedimento complesso che sarebbe meglio apprendere in un corso frontale.

Non mancano infatti video sulla Frequency Separation e sul Color Grading fotografico, ma il workflow da Ritratto, però, ha una sua struttura propria, un preciso punto d’inizio, una prima fase in cui vanno utilizzate alcune tecniche, mentre altre vanno lasciate per una fase successiva, e infine vi sono procedure necessarie per rifinire il file e salvarlo a seconda di una destinazione a schermo, o a stampa.

Un processo complesso e lungo che deve tenere in conto vari fattori, fra cui il fatto fisiologico che lavorando sui colori, è bene staccare ogni tanto: alzarsi dalla sedia e andare a fare altro per alcuni minuti da un’altra parte. Ciò perché la mente umana è fatta per adattarsi ai colori che vede e se si lavora troppo a lungo davanti a una sola immagine in cui si stanno elaborando le sfumature di colore, si può finire per non percepire la foto come si deve.

Conclusioni

Ci siamo portati un po’ avanti con l’illustrazione del processo di sviluppo delle foto, come se fossimo già impegnati a lavorare per Agenzie o Riviste. Naturalmente no, sto ancora lottando per completare il mio primo Portfolio da presentare alle agenzie. Ho ritenuto però utile dare una visione più generale e in prospettiva di cosa comporti sviluppare le foto di Ritratto.

Mi preme rendere nota la complessità e lunghezza del processo. Certo, naturalmente, la selezione di pochi scatti – fra le centinaia eseguiti – aiuta a non finire a passare la vita seduto al pc. Esperienza e linee guida, là dove applicabili - soprattutto per lavori commerciali, possono aiutare a velocizzare il processo. L’occhio del fotografo va alimentato di buone e sapienti visioni. Mostre, libri, corsi, film, fanno tutte parti di un quotidiano, continuo, miglioramento della capacità di lettura della luce, dei colori e delle immagini nella loro strutturata complessità, un altro elemento da tenere a mente oltre alla caccia all’ultima novità uscita di recente dal proprio marchio fotografico preferito.

Ritengo, inoltre, che sia utile abituarsi a collaborare in TF, perché dopotutto il lavoro di contrattazione che si fa con la modella, prima o poi, lo si dovrà fare – quando questa arte diventerà un mestiere – con l’Art Director di un Brand, o un selezionatore di Agenzia. Prima si comincia e prima si apprende un’altra delle mille expertise che sono richieste per lavorare nel mondo della Fotografia di Ritratto e Ritratto Moda.

Quanto sopra scritto porta a termine il mio lungo excursus sulle modelle, spero che, tu lettore, lo possa trovare in qualche misura interessante.

ti invito qui lunedì prossimo, per la prossima pubblicazione di nuove foto. Perché qui, se ne vedono sempre delle belle!

A presto e


Ad Majora!




Favolistica e realtà sulla Color Science (Panoramiche 4c)

Riassunto delle puntate precedenti

Il mondo della Fotografia amatoriale, da quando è divenuto “democratico”, ha imbarcato al suo interno moltitudini di neofiti, pieni di entusiasmo, ma anche di facili preconcetti che hanno nel tempo innescato varie guerre di religione termonucleari su brand fotografici, tecniche, modi di scattare e soggetti da ritrarre. Assolutismi in un ramo dell’umana creatività assai duttile in cui, per dirla come Ansel Adams: “Non ci sono regole per fare buone fotografie. Ci sono solo le buone fotografie”[1].

Nelle precedenti sezioni del presente articolo abbiamo già parlato della completa falsità di certi pregiudizi sulla post produzione delle foto, mostrando che non è con l’avvento del Digitale che si modificano gli scatti, anzi, limitatamente alle tecnologie e tecniche a disposizione, la post produzione si è sempre fatta.

Un altro argomento su cui si è sempre dibattuto in modo spesso troppo teologico, è quello della lotta fra fautori del formato Jpeg, contro quelli che usano il RAW. Qui abbiamo già individuato che la stupidità risiede negli opposti assolutismi.

Fra queste argomentazioni c’è quella qui esposta e con la quale chiudo la mia lunga trattazione su questo tema. Iniziamo quindi ad addentrarci nella favolistica dimensione della Color Science.

Zeiss Tessar 50mm f 2,8 Jena Bokeh Balls, by Francesco Coppola

Zeiss Tessar 50mm f 2,8 Jena Bokeh Balls, by Francesco Coppola

In cosa consiste la diceria: l’espressione Color Science, nel parlare entusiasta ma non tanto informato, indicherebbe la qualità dei colori che proverrebbero dai corpi macchina di una data marca. I fan (utilizzatori) di Canon e di Fuji e Leica sono fra quelli che più ne fanno riferimento con alcune piccole differenze fra loro: nel caso dei canonisti, chi fra loro cade in questo errore, tende a pensare e dire che scattando con una Canon si possono avere sin da subito file con una maggiore (migliore) saturazione dei rossi, e quindi una migliore resa dei toni della pelle. I fan di Fuji vanno matti invece per i “picture profiles” (profili immagine) che imitano le qualità cromatiche prodotte dalle pellicole da sempre fabbricate da Fujifilm. Già questa seconda affermazione pone maggiori problemi in quanto non si riferirebbe tanto a una caratteristica hardware, ma software. Si sa, inoltre, che uno degli elementi che contraddistingue l’esclusivo marchio Leica è un certo carattere e saturazione delle tonalità del rosso.

Ph: Anthony Tran on unsplash.com

Ph: Anthony Tran on unsplash.com

Il nocciolo di verità: Non sono un tecnico, né un fisico, dovrò quindi semplificare la mia trattazione al massimo.

Le dominanti di colore riscontrabili su una foto digitale non dipendono unicamente dal sensore della macchina fotografica con cui è stata scattata. A giocare un ruolo vi sono anche il processore d’immagine e il software deputato alla compressione dei dati raccolti per la creazione di un’immagine in formato .Jpeg, ma in misura ancora maggiore, i colori dipendono dagli obiettivi che si montano sulla macchina. Infine, con tutti i programmi di post produzione è possibile giocare con i colori in qualsiasi modo si voglia – a patto di saperlo fare. Una tendenziale dominante di colore, positiva o negativa, in un’immagine registrata in formato RAW, poi, si corregge in neanche un minuto di lavoro

Questo cosa vuol dire, in sintesi? Alcune cose.

Primo, se pure sia vero che alcuni brand di macchine fotografiche hanno una dominante di colore principale nelle immagini che producono, questo vantaggio fa risparmiare davvero poco, in termini di tempo e di fatica ad apprendere come trattare i colori in fase di post produzione. Le qualità di un corpo macchina, del suo ecosistema di obiettivi e accessori, va ben oltre a questo unico elemento.

Secondo, dietro all’entusiasmo per una caratteristica così minimale della qualità d’immagine rischia di annidarsi la ben documentata pigrizia di chi non vorrebbe mai affrontare i programmi di post produzione e scatterebbe sempre in Jpeg, semplicemente perché gli viene a noia stare davanti al pc a sviluppare foto.

Terzo, posto che ognuno è libero di fotografare come gli pare e piace, bisogna avvertire che se si hanno speranze e/o ambizioni di diventare professionisti di un qualsiasi genere fotografico pagante, questo approccio è quantomai diseducativo: apprendere a post produrre (su Photoshop oppure Capture One, ma idealmente bisognerebbe conoscere entrambi) è in questo caso sempre indicato, tanto che non ci si dovrebbe fermare al digitale e sarebbe anche consigliabile prendere mano con una Camera Oscura e apprendere i principi di sviluppo con agenti chimici.

Eccezioni, siamo nel mondo della Fotografia, quindi c’è quasi sempre un’eccezione da tenere a mente. Quando si studia la post produzione delle immagini digitali, infatti, si apprende che esistono delle operazioni (quali la regolazione dell’esposizione, in parte del contrasto, la pulizia di alcuni dettagli, come la pelle per i ritratti) definite in inglese lossless, cioè che non comportano perdita di dati (e quindi qualità d’immagine). Altre operazioni, invece, sono definite “lossy”, le quali quindi comportano una qualche variabile perdita di qualità d’immagine, fra queste ultime sta proprio il color grading.

ph: Flaunter.com (@flaunter) from unsplash.com

ph: Flaunter.com (@flaunter) from unsplash.com

Per questo motivo, professionisti affermati di alcuni generi fotografici, come il Ritratto di Moda high end, puntando su una qualità d’immagine assoluta (dovuta anche alla stampa su grandi superfici) mirano a post produrre il minimo. Essi quindi optano per la costruzione di un set ove ogni elemento di luce, trucco, hair styling outfit, props, eccetera, esca esattamente come l’hanno voluto loro in fase di scatto, invece di affrontare lunghe sessioni di post produzione al computer.

Ciò che si risparmia, in sforzo e tempo impiegato, in post produzione – però – lo si impiega in fase di scatto, e anzi, si deve anche coinvolgere una crew e impiegare tutta un’attrezzatura, tanto, più costosa. Post produrre, alla fine della fiera, è più economico.

Stiamo qui parlando, in ogni caso, di maestri della Fotografia, i quali operano da anni in un genere, sanno cosa fanno e cosa vogliono. Un apprendista, invece, queste cose – mediamente – non le sa, né ha i mezzi per imbastire set complessi.

In conclusione: dato che fare il Fotografo implica incamminarsi in un lungo processo di apprendimento, e che la post produzione è solo una delle cose da imparare fra le tante altre, quel che dovrebbe esibire un neofita di questa Arte dovrebbe essere curiosità e desiderio di imparare sempre nuove cose . Il processo d’apprendimento fotografico in sé dovrebbe essere la “droga” di chi studia e pratica la Fotografia.

A serious large format self portrait BW

A serious large format self portrait BW

E con questo chiudo il trittico di argomentazioni sulla post produzione in digitale delle fotografie. Sperando di avere fornito una lettura piacevole, ti rinvio ai prossimi argomenti delle mie panoramiche.

A presto e

Ad Majora!






[1] E.T. Schoch (2002), The Everything Digital Photography Book (2002), p. 105 - Attributed to Adams: “There are no rules for good photographs, there are only good photographs”.